Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16063 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16063 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: BORSELLINO MARIA DANIELA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FIUSCO VITO JUNIOR nato il 13/10/1981 a MOTTOLA
avverso la sentenza del 06/03/2017 della CORTE APPELLO di TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Daniela Borsellino
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Giulio Romano che ha concluso per il rigetto
Udito l’avv. Staniscia Angelo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.La CORTE di APPELLO di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza in
data 06/03/2017, ha confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia
pronunciata dal TRIBUNALE di TARANTO, in data 10/06/2013, nei confronti di
FIUSCO VITO JUNIOR, in relazione al reato di cui all’art. 648 cod.pen., per avere
ricevuto un assegno bancario di provenienza delittuosa, sottratto alla titolare del
conto corrente e indebitamente compilato.
Al Fiusco si addebita di avere versato il detto assegno quale pagamento per un
contratto di assicurazione relativa ad un’autovettura intestata ad un cittadino
rumeno, già suo dipendente.
2.Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:

1

Data Udienza: 29/03/2018

h

1) Violazione degli articoli 516 e segg. e 522 cod. proc. pen. e vizio di
motivazione, poiché nel capo d’imputazione non è indicato l’elemento oggettivo
del profitto che caratterizza il reato contestato e la corte territoriale non ha
accolto la relativa doglianza, tempestivamente eccepita con l’atto di appello,
affermando che la finalità di trarre profitto sarebbe ricavabile in via induttiva dai
fatti descritti nel capo di imputazione. Al riguardo il ricorrente rileva che non è
dato sapere quale concreto interesse avrebbe avuto l’imputato nel pagare il
premio di una polizza assicurativa avente ad oggetto una vettura non di sua
proprietà e nella disponibilità di un terzo.

adeguatamente motivato in merito all’elemento soggettivo del reato,
trascurando che l’imputato aveva apposto il proprio nominativo quale primo
beneficiario del titolo di credito, a riprova della propria buona fede.
3) Violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla qualificazione giuridica
della condotta posta in essere dall’imputato, che più correttamente avrebbe
dovuto essere inquadrata nell’ambito della contravvenzione di acquisto di cose di
sospetta provenienza;
4) 4iolazione di legge e vizio di motivazione poiché il collegio di appello non ha
riconosciuto la fattispecie attenuata prevista dal capoverso dell’articolo 648 cod.
pen., nonostante la somma di modesta entità indicata nell’assegno, in ragione
della particolare capacità a delinquere dell’imputato e delle peculiarità del fatto,
sebbene anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n.
105/2014 l’attenuante della particolare tenuità del fatto può essere applicata e
addirittura giudicata prevalente sulla recidiva reiterata.
5)Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione della
pena sul rilievo che nel respingere l’istanza di riduzione del trattamento
sanzionatorio la corte ha affermato che la pena è stata determinata nel minimo
edittale, mentre la pena pecuniaria è stata inflitta in misura superiore al detto
minimo e avrebbe, quindi, potuto essere ridotta.
3.11 ricorso e’ inammissibile.
I primi quattro motivi di censura sono privi di specificita’ in tutte le loro
articolazioni (si reiterano censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte: Sez.
4, n. 15497 del 22/02/2002, RV. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, RV.
256133), del tutto assertivi e, comunque, manifestamente infondati.
Le doglianze riproducono infatti pedissequamente gli argomenti prospettati nel
gravame, ai quali la Corte d’appello ha dato adeguate e argomentate risposte,
esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera ne’
specificatamente censura.
Il giudice di appello, per affermare l’infondatezza della tesi difensiva, ha infatti,
con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, evidenziato
che l’omessa indicazione del capo di imputazione in merito alla finalità dell’azione

2

2) Violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la corte territoriale non ha

delittuosa contestata – il fine di procurare a sé o ad altri un profitto- non ha
alcuna rilevanza ai fini della dedotta nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p.,
poiché il fatto contestato è stato individuato con estrema precisione, sicchè
l’elemento del profitto è ricavabile in via induttiva dal contesto e nessuna
violazione del diritto di difesa si è verificata.
Non va poi trascurato che un’eventuale doglianza difensiva in merito al
contenuto del capo di imputazione, riguardando la completezza della
contestazione, avrebbe dovuto essere eccepita in primo grado nell’ambito delle
questioni preliminari e riproposta in appello, mentre dall’esame degli atti risulta

Quanto al dolo del reato, è certo che l’imputato non si è limitato a ricevere un
assegno da un terzo, ma lo ha compilato, inserendo il proprio nome come
beneficiario e girante, e lo ha consegnato quale corrispettivo del premio per
l’assicurazione di una autovettura, stipulata a nome di un suo ex dipendente
cittadino rumeno e relativa ad un veicolo formalmente intestato a terzi.
In tale azione è di tutta evidenza il dolo del reato, e cioè il fine di utilizzare
l’assegno a pagamento del corrispettivo dovuto, mentre i motivi della condotta
delittuosa non assumono concreta rilevanza.
I giudici di merito hanno concordemente ritenuto che l’assunto difensivo
dell’imputato, di avere ricevuto il detto assegno dal proprio dipendente rumeno,
che non poteva recarsi presso l’agenzia assicurativa, e di averlo compilato in
buona fede e personalmente consegnato all’assicuratore, non fosse verosimile,
considerato che dalle informazioni assunte emergeva che il detto dipendente
rumeno non lavorava più per l’imputato ed era tornato in Romania, in epoca
antecedente alla consegna dell’assegno stesso. Tali circostanze del fatto, a
giudizio del collegio di appello, inducono a ritenere che l’imputato fosse piuttosto
il soggetto direttamente interessato al pagamento del premio assicurativo della
vettura, formalmente intestata ad un suo ex dipendente. Tale conclusione non
appare manifestamente illogica e ponendosi come coerente valutazione delle
emergenze processuali acquisite non è censurabile in questa sede.
Allo stesso modo i giudici di merito hanno correttamente escluso che potessero
sussistere nel caso di specie i presupposti dell’incauto acquisto, in relazione alle
concrete modalità del fatto, che comprovano al di là di ogni ragionevole dubbio il
diretto coinvolgimento dell’imputato nella circolazione del titolo e la conoscenza
da parte sua della provenienza illecita dello stesso.
E’ noto che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova
dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o
non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in mala fede. (Sez. 2, n. 29198 del 25/05/2010 – dep. 26/07/2010,
Fontanella, Rv. 24826501)

3

essere stata sollevata per la prima volta con l’atto di impugnazione.

La corte territoriale ha ritenuto insussistenti i presupposti dell’attenuante
prevista dal capoverso dell’articolo 648 cod.pen., in ragione delle cinque
condanne definitive per ricettazione riportate dal Fiusco e dell’importo non infimo
indicato nel titolo, che dalla motivazione della sentenza risulta essere pari a oltre
700 euro.
Il ricorrente non prende nemmeno in considerazione tale specifica motivazione,
limitandosi a ribadire la tesi gia esposta nei motivi di appello e confutata, con
diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata.
Quanto all’ultima censura, deve convenirsi con la difesa che l’espressione

minimo edittale” è in parte erronea, poiché la sanzione pecuniaria è stata
determinata in C 600, e cioè in misura di poco superiore al minimo edittale,
stabilito in 516 euro.
E, tuttavia, nell’atto di appello la difesa aveva invocato esclusivamente le
circostanze attenuanti generiche e una riduzione del trattamento sanzionatorio in
conseguenza della loro concessione, senza dolersi della determinazione della
pena pecuniaria in misura superiore al minimo edittale.
Nessuna motivazione pertanto la corte era tenuta a formulare su questo specifico
punto, che non era stato devoluto al suo giudizio, e la difesa non può in questa
sede proporre per la prima volta doglianze in merito alla determinazione della
pena pecuniaria.
Per le considerazioni sin qui esposte, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
4.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si
ritiene equa, di euro duemila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della Cassa delle
ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in camera di consiglio il 29 marzo 2018
si dente

utilizzata dalla corte “la pena è stata determinata in misura corrispondente al

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