Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2817 del 07/02/2014
Civile Sent. Sez. 3 Num. 2817 Anno 2014
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO
SENTENZA
sul ricorso 32259-2007 proposto da:
NEGRINI
MARIA
MGRMRA43E43B157F,
elettivamente
domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DELLE NAVI 30,
presso lo studio dell’avvocato SORRENTINO FEDERICO,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
ORSI SABRINA, RAGGI RANIERO giusta delega in atti;
– ricorrente –
2013
contro
1703
CESENA
MARCELLO
CSNMCL56P05D969B,
elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA MARIA ADELAIDE 8, presso lo
studio dell’avvocato MINUTILLO TURTUR ROBERTO, che lo
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Data pubblicazione: 07/02/2014
rappresenta
e
difende
unitamente
all’avvocato
BORDONARO PAOLO giusta delega in atti;
LA PIEMONTESE ASSICURAZIONI S.P.A. 06698030019 in
persona di GIACOMO SATTA, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo studio
difende unitamente all’avvocato CRISPO LUCIO giusta
delega in atti;
– controricorrentl
–
avverso la sentenza n. 1098/2006 della CORTE
D’APPELLO di GENOVA, depositata il 06/11/2006, R.G.N.
1831/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/09/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato FEDERICO SORRENTINO;
udito l’Avvocato MILENA LIUZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto;
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dell’avvocato LIUZZI MILENA, che la rappresenta e
I FATTI
Nel marzo del 1993 Maria Negrini,
nel lamentare danni
verificatisi all’interno del proprio appartamento e provocati da
lavori di ristrutturazione in corso di esecuzione al piano
soprastante, chiese ed ottenne dal Pretore di Genova, come
puntellare il soffitto di un vano della sua abitazione ove si
era ravvisato un pericolo di crollo.
Instauratosi il giudizio di merito nei confronti di Marcello
Cesena, proprietario dell’appartamento soprastante, e di Gino
Barbieri, titolare dell’impresa incaricata dell’esecuzione dei
lavori – che chiamerà in garanzia la compagnia La Piemontese,
sua assicuratrice -, il giudice di primo grado, ritenuta la
responsabilità paritetica dei due convenuti, li condannò in via
solidale a risarcire l’attrice nella misura di E. 6.580 per
costi di ripristino e di E.1500 per l’indisponibilità della
stanza puntellata, disponendo ancora che la compagnia
assicuratrice tenesse indenne l’impresa Barbieri dalla sua
obbligazione.
La corte di appello di Genova, investita del gravame principale
proposto dal Cesena, lo accolse, mandandolo assolto da ogni
responsabilità, ordinando alla Negrini di rimborsarne gli
esborsi del primo grado, e limitando (dimezzandola) la condanna
così come inflitta in prime cure al solo Barbieri.
Il giudice di appello accolse altresì il gravame incidentale
della compagnia assicuratrice, ritenendo inoperativa la polizza
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,
provvedimento provvisorio suggerito dal ctu, l’ordine di far
per essere il rischio garantito iniziato prima che iniziasse a
decorrere a garanzia, non avendo l’impresa assicurata in alcun
modo dimostrato la riferibilità degli eventi ad epoca
successiva.
Per la cassazione della sentenza della Corte ligure Maria
Resistono con controricorso La Piemontese assicurazioni e
Marcello Cesena.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso non può essere accolto.
Va preliminarmente rilevata e dichiarata la inammissibilità dei
motivi sub l, 2 e 5 del ricorso.
Con il primo motivo,
si denuncia
nullità del procedimento per
violazione dell’art. 342 c.p.c, in relazione all’art. 360 primo
comma n. 4 c.p.c..
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto
(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
Dica la Corte se 11 giudice di appello violi l’art. 342 c.p.c.
incorrendo nel vizio denunciabile ai sensi del n. 4 dell’art.
360 c.p.c. nel caso in cui riformi una statuizione della
sentenza di primo grado diversa da quelle specificamente
individuate nelle conclusioni formulate dall’appellante.
Con il secondo motivo,
si denuncia
insufficiente motivazione
circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art.
360 primo comma n. 5 c.p.c..
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Negrini ha proposto ricorso illustrato da 5 motivi di censura.
La censura non è corredata da lacuna sintesi espositiva che
fornisca una “chiara indicazione del fatto controverso” (ex art.
366 bis c.p.c. nella versione applicabile
ratione temporis ante
riforma del 2009).
Con 11
quinto motivo,
si
denuncia
insufficiente
e
decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 primo comma
n. 5 c.p.c..
La censura non e corredata da alcuna sintesi espositiva del
fatto controverso.
L’inammissibilità dei motivi è riconducibile alle ragioni che
seguono.
Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di
affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della
questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso
tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del
tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia
(Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a
risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica richiesta
(quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di
stabilire se sia stata o meno violata – o disapplicata o
erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il
quesito deve, di converso, investire
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ex se
la
i
ratio decidendi
della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno
opposto destinata ad una soluzione che, pur trascendendo la
fattispecie concreta sottoposta all’esame del giudice di
legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le
stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente
ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod.
proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione
dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un
quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un
interrogativo circolare, che già presupponga la risposta senza
peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in
esame.
Tale appare, nella specie, il quesito sopra riportato inerente
al primo motivo di ricorso, mentre la corretta formulazione del
quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente
dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi
la
rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli,
in
forma interrogativa e non (sia pur implicitamente) assertiva, il
principio giuridico di cui si chiede l’affermazione; onde, va
ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di
ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una
generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di
legge denunziata nel motivo.
Quanto,
ancora,
al denunciato vizio di motivazione,
va
rammentato come il tema della sintesi necessaria per il relativo
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specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve
esame sia stato a sua volta affrontato dalle sezioni unite di
questa Corte, che hanno all’uopo specificato (Cass. ss.uu.
20603/07) l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del
fatto controverso” in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali
giustificare la decisione: si è così affermato che la relativa
censura deve contenere
un momento di sintesi omologo del
quesito di diritto (cd. “quesito di fatto) – che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità.
Con il terzo motivo,
si denuncia
violazione del principio del
neminem laedere e degli artt. 2043, 2049 c.c. in relazione
all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c..
La censura è corredata dai seguenti quesiti:
a) Dica la Corte se l’inserimento, in un contratto di appalto di
opere, di una clausola di manleva a favore del committente per i
danni a terzi eventualmente derivanti dalla esecuzione dei
lavori escluda o meno la responsabilità del committente stesso
nei confronti dei terzi e se sia o meno idonea a rispettare il
principio del neminem laedere (folio 13 del ricorso);
b) Dica la Corte se l’omesso controllo, da parte del committente di
opere, dell’esistenza della copertura assicurativa per danni a
terzi dell’impresa le cui opere sono appaltate integri o meno
culpa in eligendo del committente (folio 15 del ricorso).
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la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
Con il quarto motivo,
si denuncia
contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in
relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c..
La censura è corredata dalla esposizione del seguente fatto
controverso:
La circostanza posta dalla
dell’accoglimento dell’appello incidentale comporta che 11
Cesena abbia appaltato l’esecuzione di opere indubbiamente
idonee a costituire un rischio di danni a terzi (come risulta
dalla CTU) ad un’impresa che non aveva provveduto ad assicurarsi
per la responsabilità nei confronti dei terzi; è dunque
palesemente incompatibile con la dichiarazione di insussistenza
di una
culpa in eligendo
del Cesena, con conseguente
contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della
controversia.
I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati
attesane l’intrinseca connessione, sono destituiti di
fondamento.
Con motivazione ampia, esaustiva e priva di vizi logicogiuridici, oltre che conforme agli insegnamenti costantemente
resi,
in subiecta materia,
da questa Corte regolatrice, il
giudice territoriale ha escluso (ff. 12 e ss. della sentenza
oggi impugnata) la configurabilità di qualsivoglia forma di
responsabilità in capo al committente, il quale si era
diligentemente attivato proprio nei sensi oggi contestati da
/
parte ricorrente, premurandosi addirittura di vigilare per
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Corte di appello a base
quanto possibile sulla esecuzione di lavori
affidati,
peraltro, ad un’impresa sicuramente non priva dei necessari
requisiti tecnici (del tutto fuorviante risulta, difatti, la
contestazione relativa all’omesso accertamento della efficacia
quoad tempus della polizza assicurativa, di certo non spettante
– a mezzo di un professionista all’uopo
nominato, e pattuendo altresì con l’appaltatore condizioni di
esecuzione dell’opus
commissa
particolarmente rigorose, proprio
al fine di essere ipso facto garantito in caso di danni a terzi,
al di là ed a prescindere dalla clausola di manleva contenuta
nella convenzione negoziale della quale ancor oggi si discute.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue – giusta il principio della
soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si
liquidano in complessivi E. 2700, di cui E. 200 per spese, in
favore di ciascuna delle parti costituite.
Così deciso in Roma, li 20.9.2013
CORTESUPREMADICASSAZIONE
Si attesta la registrazione presso
l’Agenzia delle En.t.rte di Roma 2
serie 4 al n.–P go
versate
E 213 // il .
. . 9.
all’appaltante)