Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3125 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 3125 Anno 2018
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: FEDERICO GUIDO

ORDINANZA

sul ricorso 23203-2014 proposto da:
TIMONELLI FRANCESCO, GIARDINA ROSA MARIA, elettivamente
domiciliati in ROMA, V.CARDINALE GARAMPI 195, presso lo
studio dell’avvocato MASSIMO CAMPANELLA, rappresentati
e difesi dall’avvocato GIUSEPPE RACALBUTO;
– ricorrenti contro

GUARNERI MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
2017
2914

MANFREDI 11, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO
AVANZATO, che la rappresenta e difende;
– controz-icorrente nonchè contz-o

GUARNERI GIUSEPPE, GUARNERI GIOACCHINO, SAINT ETIENNE,
GUARNERI CARMELO, GUARNERI ROSARIO;

Data pubblicazione: 08/02/2018

-

intimati –

avverso la sentenza n. 244/2014 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 21/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

V–

consiglio del 10/11/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO

FEDERICO.

Fatto
Rosa Maria Giardina e Francesco Timonelli propongono ricorso per
cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte
d’Appello di Palermo che, confermando integralmente la sentenza di
primo grado, disattesa l’eccezione di nullità del contratto preliminare di

dichiarato la legittimità del loro recesso dal contrato medesimo.
La Corte d’Appello, in particolare, ha affermato di condividere la
valutazione del tribunale nella parte in cui ha escluso che la difformità
rilevata dai convenuti , cioè la minore estensione del vano al piano terra (
che essi intendevano destinare a garage) , costituisse un vizio in senso
stretto, idoneo a giustificare il diniego di stipulare il contrato, ritenendo
che la differenza tra l’estensione dichiarata in contrato ( e peraltro
riportata nella visura catastale) di mq.23 e quella effettiva misurata dagli
appellanti, di mq.16 non costituisse vizio tale da rendere la cosa inidonea
all’uso cui essa era destinata, considerato che l’uso programmato dai
promissari acquirenti ( garage) non era stato in alcun modo evocato nel
contratto , né la difformità risultava tale da diminuire in modo
apprezzabile il valore del bene, che era stato venduto in misura
forfettaria, a corpo, ad un prezzo complessivo di 77.500,00 €.
Riteneva infine che, sulla base della specifica clausola contenuta nel
contratto, secondo cui la promittente acquirente si impegnava a comprare
il suddetto immobile nelle condizioni in cui esso si trova e ben conosce,
smentisse per tabulas l’assunto della non conoscenza dell’effettiva
estensione del vano prima della stipula, richiamando il dovere di buona
fede di cui all’ art.1337 c.c., che impone alle parti di verificare con la
dovuta diligenza le condizioni di un bene che essa si accinge ad
acquistare.

compravendita, avente ad oggetto due beni immobili, siti in Canicattì, ha

Maria, Giuseppe, Gioacchino, Carmelo e Rosario Guarneri hanno
resistito con controricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza i ricorrenti hanno depositato
memorie illustrative.
Considerato in diritto

applicazione dell’art. 1490 c.c. ex art. 360 n.3) cpc, nonché l’omessa o
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per
avere la Corte d’appello di Palermo omesso di rilevare che essi, quali
promissari acquirenti, avevano, con tre missive, denunziato
l’inadempimento dei promittenti alienanti. I ricorrenti censurano, inoltre,
la statuizione secondo cui la minore estensione di una delle due unità non
costituisca vizio rilevante ex art. 1490 c.c., ribadendo, di contro,
l’assoluta inidoneità della res oggetto del contratto all’uso convenuto.
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.
183 cpc , nonché l’illogicità ed il difetto di motivazione del
provvedimento con cui la Corte d’appello ha omesso di dar corso alle
richieste istruttorie di essa ricorrente.
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
1490 e ss. c.c., nonché l’insufficiente ed illogica motivazione, per avere
la Corte arbitrariamente interpretato la vicenda processuale, omettendo di
valutare adeguatamente il comportamento delle parti, dando rilievo ad
una mera clausola di stile.
Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del principio
di “autoresponsabilità” e l’insufficiente ed illogica motivazione della
pronuncia impugnata.
I motivi che, in virtù dell’intima connessione, vanno unitariamente
esaminati , sono, da un lato inammissibili, dall’atro infondati.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa

Si osserva anzitutto l’inammissibilità del dedotto vizio di omessa o
insufficiente motivazione , riproposto in relazione a tutti i motivi di
ricorso, non più censurabile alla luce del nuovo disposto del n.5) comma
1 dell’art. 360 codice di rito, applicabile ratione tempori s( Cass. Ss.Uu.
n.8053/2014).

la medesima questione viene prospettata sotto profili diversi ed
incompatibili, quali la violazione di legge ed il difetto di motivazione,
(Cass. 19443/2011; 9793/2013 ), mediante mescolanza e sovrapposizione
di censure eterogenee, atteso che la violazione di norme di diritto
suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve
decidere della violazione o falsa applicazione della norma, mentre il
vizio di motivazione intende precisamente rimettere in discussione quegli
stessi elementi di fatto.
Anche nel merito, i motivi non hanno pregio, in quanto si risolvono nella
sollecitazione ad una rivalutazione dei fatti già oggetto del sindacato del
giudice di merito.
Conviene premettere che in materia contrattuale è rimesso
all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di
legittimità se sorretto da congrua e corretta motivazione, lo stabilire se
una determinata clausola contrattuale sia soltanto “di stile” ovvero
costituisca espressione di una concreta volontà negoziale, con efficacia
normativa del rapporto.
E’ stato tuttavia precisato che, sia per il principio di conservazione delle
clausole contrattuali, sia perché rispondente all’interesse dell’acquirente
di un immobile a non esser limitato nella disponibilità e nel godimento
del medesimo, non può ritenersi generica ed indeterminata, e pertanto di
stile, la clausola secondo la quale l’alienante garantisce la libertà del bene
(Cass. 13839/2013).

Sotto altro profilo, si osserva che, in relazione a tutti i motivi di ricorso,

A tale indirizzo si è uniformata la sentenza impugnata, che ha rilevato
come i promittenti acquirenti si fossero impegnati ad acquistare
l’immobile in oggetto nelle condizioni in cui esso si trovava e che essi
ben conoscevano.
La corte territoriale ha inoltre ritenuto, con adeguato apprezzamento di

l’estensione dichiarata in contratto (mq 23) e quella effettiva di mq 16, di
appena 7 mq di uno dei due vano oggetto del preliminare, non costituisse
un vizio tale da rendere la cosa inidonea all’uso cui essa era destinato,
anche in relazione al prezzo del compendio immobiliare , determinato in
misura forfettaria in 77.500,00 euro per ambedue gli immobili.
Del pari non sindacabile nel presente giudizio, in quanto fondata su
adeguato apprezzamento di fatto, la statuizione della Corte territoriale
che, sulla base delle acquisizioni documentali in atti, ha ritenuto
l’ininfluenza delle prove orali richieste dai promittenti acquirenti.
La mancata ammissione della prova testimoniale o di altra prova può
infatti essere denunciatei per cassazione solo nel caso in cui la prova non
ammessa, sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un
giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre
risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice
di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di
fondamento (Cass.5654/2017).
Anche su tale aspetto, peraltro, il ricorso difetta di autosufficienza, in
quanto non vengono specificamente riproposte le prove testimoniali
dedotte né indicate le ragioni della loro decisività.
Il ricorso va dunque respinto ed i ricorrenti vanno condannati in solido
alla rifusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da
dispositivo.

fatto , che si sottrae al sindacato di legittimità, che la differenza tra

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del
2002.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che
liquida in complessivi 7.200,00 euro, di cui 200,00 € per rimborso spese vive,
oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di
legge.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del
2002.
Così deciso in Roma il 10 novembre 2017

P.Q.M.

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