Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4270 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4270 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

SENTENZA

sul ricorso 9118-2008 proposto da:
POGGINI

STEFANO

PGGSFN65A07C745M,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II 10, presso lo
studio dell’avvocato SCORSONE FRANCESCO, rappresentato
e difeso dall’avvocato LOCCI DARIO giusta procura in
calce;
– ricorrente contro

PALAZZESCHI MASSIMO e PALAZZESCHI DONATELLA in qualità
di eredi di PALAZZESCHI LUCIO e MARIUCCI ANNA MARIA,
MARIUCCI

MIRELLA

MRCMLL40C691155E,

elettivamente

Data pubblicazione: 24/02/2014

domiciliati in ROMA, VIA GREGORIO VII 269, presso lo
studio dell’avvocato ORLANDO ANNA, che li rappresenta
e difende giusta procura speciale in calce;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 1015/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. ROBERTA
VIVALDI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

di FIRENZE, depositata 1’11/07/2007, R.G.N. 485/2003;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Lucio, Massimo e Donatella Palazzeschi, quali eredi di Anna
Maria Mariucci, e Mirella Mariucci, convennero, davanti al
tribunale di Arezzo – sezione distaccata di Sansepolcro, Stefano
Poggini chiedendone la condanna al pagamento dell’indennità per

preliminare di vendita tra le originarie parti, successivamente
dichiarato nullo con sentenza definitiva – dal 30.5.1989 al
30.5.1997, nella misura di 2/3 del totale pari alla quota loro
spettante sull’immobile.
Il convenuto,

costituitosi,

contestò la fondatezza della

domanda.
Il tribunale, con sentenza del

24.10.2002, accolse la domanda

condannando il Poggini al pagamento della somma di C 4.998,87.
Ad eguale conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con
sentenza in data 11.7.2007, rigettò l’appello proposto dal
Poggini.
Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a due
motivi.
Resistono con controricorso Mirella Mariucci e Massimo e
Donatella Palazzeschi, quali eredi di Lucio Palazzeschi, ed Anna
Maria Mariucci.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza
pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio
2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in

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l’occupazione illegittima di un immobile oggetto di un

materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi,
delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo

I.

Secondo l’art. 366-bis c.p.c. introdotto dall’art. 6 del
decreto – i motivi di ricorso devono essere formulati, a pena di
inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei

di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un
quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360,
primo comma, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve
contenere la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare
la decisione.
Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare
la decisione; e la relativa censura deve contenere un momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass. 18.7.2007 n.
16002).

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casi previsti dall’ art. 360, n. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione
risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di
diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere
formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la
violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il

n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art.
366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui
quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere
generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie
in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a
definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi
desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il
primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del
suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella
di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del
solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della
questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del
ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass.7.4.2009 n.
8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di
formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta – ai
fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso stesso –

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r

vizio denunciato alla fattispecie concreta ( v. S.U. 11.3.2008

una diversa valutazione, da parte del giudice di legittimità, a
seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai numeri l,
2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., ovvero del motivo
previsto dal numero 5 della stessa disposizione.
Nel primo caso ciascuna censura

come già detto

– deve,

diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., all’enunciazione
del principio di diritto, ovvero a

dicta

giurisprudenziali su

questioni di diritto di particolare importanza.
Nell’ipotesi, invece,

in cui venga in rilievo il motivo di cui

al n. 5 dell’art. 360 c. p.c.c. (il cui oggetto riguarda il solo
iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una
illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso ( cd. momento di sintesi) – in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle
ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la
motivazione a giustificare la decisione (v. da ultimo Cass.
25.2.2009 n. 4556; v. anche Cass. 18.11.2011 n. 24255).
I motivi non rispettano i requisiti prescritti dall’art. 366 bis
c.p.c..
Con il primo motivo il ricorrente denuncia

violazione o falsa

applicazione dell’art. 2041 c.c. in relazione all’art. 360
c.p.c. comma 1 n. 3.

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all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di

Il quesito è il seguente: ” dica la Corte se nella fattispecie
ricorrono i presupposti dell’arricchimento indebito e se c’è
stata in caso negativo la violazione o falsa applicazione
dell’art. 2041 c.c.”.
Il quesito, così posto, si risolve in una enunciazione di

al caso concreto.
In tal modo, la Corte di legittimità si trova nell’impossibilità
di enunciare un o i principii di diritto che diano soluzione
allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U.
ord. 5.2.2008 n. 2658; Sez. Un. 5.1.2007 n. 36, e successive
conformi).
Nè il quesito, correttamente posto, può essere desunto dal
contenuto e dall’illustrazione del motivo che lo precede, e
neppure può essere integrato il primo con il secondo.
Diversamente, si avrebbe la sostanziale abrogazione della norma
dell’art. 366

bis

c.p.c., applicabile

ratione temporis

nella

specie ( Sez. Un. 11.3.2008, n. 6420 e successive conformi).
Il motivo è, quindi, inammissibile.
Con il secondo motivo si denuncia

omessa, insufficiente o

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Il motivo, con il quale si denunciano vizi motivazionali, non
contiene un “momento di sintesi”, né attraverso tale meccanismo,
è indicato quali siano le ragioni per le quali i supposti vizi
siano tali da non sorreggere la decisione adottata.

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carattere generale ed astratto, non contenendo alcun riferimento

Il motivo è, quindi, inammissibile.
Conclusivamente, il ricorso è dichiarato inammissibile.
spese seguono la

soccombenza e,

liquidate come

in

dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.

Condanna il

ricorrehte al pagamento delle spese che liquida in complessivi
C 2.200,00, di cui C 2.000,00 per compensi, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma, il giorno 9 gennaio 2014, nella camera di
consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

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