Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1049 del 17/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 1049 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 1753-2013 proposto da:
SAPIA

ANTONIO

SPANTN56M19H579T,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo
studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA
CONTE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
3890

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

Data pubblicazione: 17/01/2018

studio

dell’avvocato

FIORILLO

LUIGI,

che

la

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 974/2012 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 17/10/2012 r.g.n. 872/2011;

udienza del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. STEFANO VISONA’, che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato ANDREA CONTE;
udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRANTE per delega
verbale Avvocato LUIGI FIORILLO.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

n. r.g. 1753/2017

FATTI DI CAUSA

La Corte rimarcava, a fondamento del decisum, come il ricorrente avesse
espletato mansioni di assistenza e consulenza proprie dei lavoratori che
risultavano inseriti nel livello quadri, in ragione dell’elevata preparazione
professionale di cui erano titolari. La declaratoria contrattuale collettiva di
settore prevedeva, infatti, tale collocazione, per i lavoratori aventi un alto
grado di specializzazione ed investiti di compiti di consulenza implicanti
attività di studio, che postulavano anche l’iscrizione ad albi professionali.
La qualifica di quadro si palesava coerente, poi, con l’attività in concreto
espletata dal Sapia il quale godeva di una autonomia connessa
all’espletamento del mandato difensivo ed alla gestione processuale della
controversia, talvolta con direttive di massima da parte degli uffici centrali
in materia di contenzioso seriale, in assenza di disponibilità dei diritti
controversi o della possibilità di accedere a transazioni.
Avverso tale decisione Antonio Sapia interpone ricorso per cassazione
affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la società intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art.378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in relazione all’art.360 comma primo n.5
c.p.c.. Critica la sentenza impugnata per aver scrutinato esclusivamente il
profilo del potere decisionale connesso alla attività svolta, senza
adeguatamente motivare le ragioni per le quali tale potere veniva
incentrato esclusivamente sulla questione della disponibilità o meno dei
diritti controversi nelle cause per le quali prestava assistenza.
2. Con il secondo motivo è denunciata omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in
relazione all’art.360 comma primo n.5 c.p.c. nonché violazione e falsa
applicazione delle disposizioni di cui ai c.c.n.l. Poste del 1994 e 1999, e del
dirigenti industrie del 23/5/2000. Si lamenta che con motivazione
1

La Corte d’Appello di Firenze con sentenza resa pubblica il 17/10/2012,
confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva rigettato
la domanda proposta da Antonio Sapia nei confronti della società Poste
Italiane, volta a conseguire l’accertamento del diritto all’inquadramento
come dirigente dal 2/5/1995 e la condanna della parte datoriale al
pagamento delle consequenziali differenze retributive o in subordine alla
integrazione della retribuzione ex art. 36 Cost..

inadeguata, la Corte distrettuale abbia preso in considerazione solo un
aspetto della vicenda storica sottesa al presente giudizio, e dei dati
normativi che la regolamentano, tralasciando di considerare che il
Presidente dell’Ente aveva rilasciato una Procura Generale per
rappresentare e difendere la società in giudizio. Si trattava di elemento
essenziale ai fini del decidere giacchè ai sensi dell’art.1 c.c.n.l. dirigenti
aziende industriali del 23/5/2000 sono dirigenti i prestatori di lavoro che
ricoprono un ruolo connotato da un elevato grado di professionalità,
autonomia e potere decisionale, fra i quali vanno ricompresi i procuratori
ai
quali la procura conferisca in modo continuativo poteri di
rappresentanza e di decisione per tutta o una notevole parte dell’azienda.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione delle
disposizioni di cui ai c.c.n.l. Poste del 1994, 2001, 2003 e 2007. Si critica
la sentenza impugnata per avere affermato che l’inserimento di figure
professionali iscritte ai relativi albi in posizione Al, consentiva di ritenere
che le parti collettive avessero previsto espressamente, anche sul piano
retributivo, le prestazioni rese dagli avvocati. Si deduce per contro, che a
far tempo dal 2001, le parti sociali non avevano in alcun modo preso in
considerazione questa figura professionale e tantomeno il relativo
trattamento retributivo.
4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi,
vanno disattesi.
Le censure tendono a conseguire una rivisitazione degli approdi
ermeneutici ai quali è pervenuta la Corte, inammissibile in sede di
legittimità anche alla luce dell’art.360 comma primo n.5 c.p.c. nella
versione di testo applicabile ratione temporis.
In particolare le prime due critiche non appaiono rispettose dei dettami
sanciti dall’art.360 n.5, come novellato dal d.l. 22/6/12 n.83 conv. in
1.7/8/12 n.134.
Deve al riguardo considerarsi che il nuovo testo dell’art.360 cod. proc.
civ., n.5 applicabile nella fattispecie, introduce nell’ordinamento un vizio
specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli, atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un
esito diverso della controversia. L’omesso esame di elementi istruttori non
integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto
storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal
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n. r.g. 1753/2017

n. r.g. 1753/2017

giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze

La parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle
previsioni di cui all’art.366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c.,
comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”,
testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il
“quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di
discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un.
22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n.8053). Nella
riformulazione dell’art.360 c.p.c., n.5 è dunque scomparso ogni
riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e,
accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore),
non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a
supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione,
quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della
violazione di legge, dello ius litigatoris.
In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal
legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale
oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si
converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di
motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per
“mancanza della motivazione”.
Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale
violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza
della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi
sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
“contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
5. Nella specie il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura ed
interpretazione dei dati acquisiti al giudizio, non consentita nella presente
sede, per quanto sinora detto.
L’iter motivazionale che pervade l’impugnata sentenza, non risponde
infatti ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero

della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero
potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità.
Come già fatto cenno nello storico di lite, la Corte distrettuale ha infatti
proceduto ad una ricognizione dei dati testimoniali e documentali acquisiti,
pervenendo alla conclusione che il Sapia, nel periodo considerato, aveva
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probatorie.

”espletato le mansioni di consulenza ed assistenza proprie dell’avvocato,
come previste dal c.c.n.l. del settore quando colloca fra i quadri i
lavoratori di elevata preparazione professionale, alto grado di
specializzazione, investiti fra l’altro, di compiti di consulenza, che
comportano attività di studio e richiedono anche la iscrizione ad albi
professionali”. L’autonomia di cui aveva ampiamente usufruito il
ricorrente, era quella connessa al mandato difensivo ed alla gestione
processuale della controversia, non spettando a lui la disponibilità dei
diritti controversi la decisione di accedere o meno ad una transazione, né
la scelta d impugnare i provvedimenti giudiziali, normalmente adottata da
altre strutture aziendali.
Al riguardo la Corte ha precisato che non poteva ritenersi argomento
decisivo il richiamo del Sapia alle varie procure generali alle liti che
recavano anche la facoltà di transigere e conciliare le vertenze in cui era
coinvolta la società. Ciò che rilevava era il dato, acclarato anche alla
stregua delle testimonianze raccolte, secondo cui – in base a direttive
organizzative e di prassi per l’utilizzo di dette procure – non spettava
all’avvocato la decisione al riguardo, sicchè egli non poteva sottoscrivere
un atto transattivo senza che questo venisse elaborato e deliberato da
altre strutture aziendali.
La motivazione, congrua e completa per quanto sinora detto, resiste alle

censure all’esame.
6. Preme, inoltre, rilevare, che sussiste una causa di improcedibilità del
motivi di ricorso articolati in relazione alla dedotta violazione dei
summenzionati contratti collettivi.
Come le Sezioni Unite insegnano, l’onere del deposito degli atti processuali,
dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il
ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall’art.369, co. 2, n.4,
è soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di
merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante
il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l’avvenuta sua
produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il
documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte,
mediante l’indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del
giudizio di merito, benché, cautelativamente, ne sia opportuna la
produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di
legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca senza
documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di
merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso,
oppure attinente alla fondatezza di quest’ultimo e formato dopo la fase di
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n. r.g.1753/2017

n r.g. 1753/2017

Inoltre questa Corte, sempre a Sezioni Unite, con sentenza del 23/10/2010
n. 20075 ha sancito che il richiamato art.369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve
interpretarsi nel senso che, allorché il ricorrente denunci la violazione o
falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di
lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il deposito suddetto deve
avere ad oggetto, a pena d’improcedibilità non già solo l’estratto recante le
singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo
integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente
tali disposizioni; l’onere dei deposito assume infatti, una sua rilevanza
autonoma – ed è distinto, perciò, dall’onere di “autosufficiente” indicazione
e trascrizione delle clausole contrattuali nel corpo dei motivi corrispondendo alla funzione nomofilattica del giudice di legittimità, che si
esercita – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3 – anche con riferimento
ai contratti e accordi collettivi nazionali, in ragione della peculiare efficacia
di tali atti, sì che la distinta produzione (oltre che la specifica indicazione, in
ricorso, delle singole disposizioni dedotte) è finalizzata ad una compiuta
ricognizione da parte della Corte di Cassazione, chiamata alla
interpretazione dei medesimi (vedi ex plurímis, Cass. 8/11/2016 n.22668).
Tale onere è soddisfatto, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi
di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi,
mediante il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso
l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile
(per tutte, Cass. SS.UU.cit. n. 25038/2013).

7. Nello specifico parte ricorrente non ha precisato, come prescritto
dall’insegnamento innanzi ricordato, l’avvenuta produzione in forma
integrale, dei contratti collettivi sui quali fonda i motivi di gravame
(specificando, anzi, di averli prodotti esclusivamente in estratto, come per
il c.c.n.l. del 2007) onde le censure non si sottraggono anche ad un
giudizio di improcedibilità.
In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è
rigettato.
Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della
soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo,
mediante il suo deposito, previa individuazione e indicazione della
produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. SS.UU. 7/11/2013 n.
25038).

0.r

1753/2017

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro
4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed
accessori di legge.

Così deciso in Roma il 10 ottobre 2017.

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