Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 821 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 821 Anno 2018
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: COSTANTINI FRANCESCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CALVANO VINCENZO nato il 18/10/1969 a DUGENTA

avverso la sentenza del 10/03/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA COSTANTINI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO ROMANO
che ha concluso per L. 1 ,\IA-Ttikk.95 ■

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Il Procuratore Generale Romano Giulio conclude con l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore
E presente l’avvocato DI BAIA ERCOLE del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE
in difesa di CALVANO VINCENZO, che si riporta ai motivi del ricorso.

Data Udienza: 08/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 marzo 2016, la Corte di appello di Napoli, in riforma della
sentenza resa dal Tribunale di Benevento, in data 04 aprile 2014, che aveva
affermato la responsabilità di Calvano Vincenzo per i reati di cui agli artt. 186
comma 2 lett. a) e comma 2 bis cod. strada (capo 1) e art. 187 comma 7 cod.
strada (capo A), ritenuto assorbito il reato di cui al capo 1) in quello di cui al capo

confermava nel resto.
2. Avverso la pronuncia propone ricorso il Calvano, tramite il difensore di fiducia,
articolando i seguenti motivi:
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lettera b)
c.p.p. in relazione all’applicazione dell’aggravante di aver provocato un sinistro
stradale. Osserva il ricorrente che la Corte di appello ha ritenuto il capo 1), in
relazione al quale era contestata l’aggravante di “aver cagionato un incidente
stradale “, assorbito nel capo di imputazione di cui alla lettera A), rideterminando
la pena e richiamando espressamente la citata aggravante. Tale richiamo sarebbe
tuttavia errato in quanto il reato di cui all’art. 186 comma 2, lettera a) contestato
all’imputato, è stato depenalizzato con trasformazione in illecito amministrativo.
Si deduce, inoltre, citandosi sul punto pronunce di legittimità, che la detta
circostanza aggravante non potrebbe trovare applicazione in relazione al reato di
rifiuto di sottoporsi ad accertamenti alcolimetrici attesa la ontologica diversità tra
tale fattispecie e quella di guida in stato di ebbrezza. Si evidenzia, inoltre, che il
reato di cui all’art. 186, comma 2 lett. a), contestato al capo 1), è stato
depenalizzato dalla legge 29 luglio 2010, n. 120, pertanto il giudice del gravame,
del tutto erroneamente, lo ha ritenuto assorbito in quello di cui al capo A), anziché
pronunciare sentenza di assoluzione. Si lamenta, ancora, la assenza di
motivazione sui criteri di determinazione della pena, applicata nel massimo, che
andavano ben precisati, in ossequio al dettato di cui all’ad 133 c.p.;
– inosservanza o erronea applicazione della legge ex art. 606 cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 132 e 39 cod. pen. Si eccepisce che la Corte di Appello ha
erroneamente condannato il Caivano alle pene della reclusione e della multa
ritenendo la sussistenza un’ipotesi di delitto e non di reato contravvenzionale in
violazione dell’art. 39 cod. pen., che contempla e disciplina la distinzione tra reati
in funzione della pena applicata;

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A), rideterminava la pena in anni uno di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, e

– inosservanza o erronea applicazione della legge ex art. 606 cod. proc. pen. in
relazione al diniego di applicabilità delle attenuanti generiche, in violazione del
disposto di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. ed alla omessa motivazione su tale
richiesta difensiva. Si lamenta che la Corte di Appello, nel confermare l’impianto
sanzionatorio del giudice di primo grado, applicando la pena nel massimo edittale,
ha omesso di motivare il diniego di riconoscimento delle attenuanti generiche
richieste, nonostante il Caivano sia incensurato e successivamente al fatto non sia
incorso in ulteriori contestazioni, rispettando le prescrizioni dei controlli

– carenza di motivazione in relazione alla pena accessoria avendo la Corte
integralmente confermato la condanna del Calvano alla pena accessoria della
sospensione massima di anni due della patente di guida nonostante la riduzione
della pena principale, in violazione del principio di proporzionalità tra la pena
principale ed in assenza di alcuna motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell’art.
129, comma 1, cod. proc. pen., l’intervenuta causa estintiva del reato per cui si
procede, essendo spirato in data 28 marzo 2016 il relativo termine di prescrizione
massimo pari ad anni cinque. Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta
profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero
perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non
consentire di rilevare l’intervenuta prescrizione. Pertanto, sussistono i presupposti,
discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di
impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art.
129 cod. proc. pen. Non ricorrono, inoltre, le condizioni per una pronuncia
assolutoria di merito, ai sensi di tale ultima disposizione, in considerazione delle
valutazioni rese dai giudici di merito, in ordine all’affermazione di penale
responsabilità del ricorrente. Come noto, ai fini della eventuale applicazione della
norma ora citata, occorre che la prova della insussistenza del fatto o della
estraneità ad esso dell’imputato, risulti evidente sulla base degli stessi elementi e
delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata,
circostanza non riscontrabile nel caso di specie.
2. Occorre, infine, rilevare che il reato contestato ha natura contravvenzionale e
contempla la pena dell’arresto e dell’ammenda e non già quella della reclusione e

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amministrativi richiesti;

della multa come erroneamente disposto con la sentenza impugnata. Come già
affermato da questa Corte, l’applicazione di pena di specie diversa da quella
prevista per il reato oggetto di giudizio comporta la sua rettifica – ai sensi dell’art.
619 c.p.p., comma 2, sul punto relativo all’erronea indicazione della pena inflitta
(Sez. 1, n. 46253 del 12/11/2008, Cacace, Rv. 242062).
3. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per
essere il reato estinto per prescrizione nonché la rettifica della pena indicata nella
sentenza emessa in data 15 marzo 2016, dalla Corte di appello di Napoli come in

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato, quale ritenuto con la
sentenza stessa, è estinto per prescrizione, correggendo la sentenza medesima
nel senso che laddove è scritto “reclusione” deve intendersi “arresto” e laddove è
scritto “multa” deve intendersi “ammenda”. Manda alla cancelleria per le
annotazioni di rito. Dispone trasmettersi copia della presente sentenza, ai sensi
dell’art. 224, terzo comma, del codice della strada, al Prefetto di Benevento per
quanto di competenza.
Così deciso
deciso il tr6 ottobrd 2017.

Il Consi

e estensore

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Vincenz Romis
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dispositivo.

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