Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53330 del 04/10/2017
Penale Sent. Sez. 1 Num. 53330 Anno 2017
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: BONI MONICA
sul ricorso proposto da:
VILLA GIOACCHINO nato il 01/04/1967 a CASTELVETRANO
avverso l’ordinanza del 03/08/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di POTENZA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
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lette/.se le conclusioni del PG ANTONIO MURA
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\ Q3.5..uss‘si
cisca_< Data Udienza: 04/10/2017 Ritenuto in fatto 1.Con decreto in data 3 agosto 2017 il Presidente del Tribunale di sorveglianza
di Potenza dichiarava inammissibile l'istanza, proposta dal condannato Gioacchino
Villa, volta ad ottenere l'ammissione alla detenzione domiciliare, in quanto lo stesso
stava espiando pena detentiva per delitti ostativi ex art. 4 bis ord. pen..
1.1 Avverso tale ordinanza in data 4 agosto 2017 ha proposto ricorso state fraintese, poiché la detenzione domiciliare era stata richiesta per le proprie
condizioni di salute incompatibili con la detenzione carceraria, fondata sui dati
clinici, dei quali non si era fatto alcun cenno nel provvedimento d'inammissibilità.
Inoltre, ha negato che l'art. 58 ter ord. pen. pretenda, quale condizione
imprescindibile per l'accesso alla misura richiesta, la collaborazione con la giustizia,
che può soltanto agevolare, ma non impedire in caso di mancata prestazione,
l'accesso ai benefici penitenziari, come riconosciuto in numerosi provvedimenti dei
magistrati di sorveglianza anche di altri distretti.
1.2 I! Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile.
1.L'interessato ha assunto l'iniziativa impugnatoria in proprio, avendo
manoscritto e firmato personalmente il ricorso per cassazione all'odierno esame,
proposto in data 4 agosto per contestare la legittimità di provvedimento emesso il
giorno 3 agosto del corrente anno.
1.1 Preliminare alla disamina della fondatezza o meno dell'atto d'impugnazione
è la verifica circa la sua ammissibilità a fronte del recentissimo intervento di
modifica delle disposizioni contenute nel codice di rito sulle modalità di proposizione
del ricorso per cassazione.
1.2 La legge n. 103 del 23 giugno 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017,
con l'art. 1, commi 54 e 63, nell'ambito delle modifiche apportate al sistema delle
impugnazioni penali, è intervenuta sulle disposizioni rispettivamente degli artt. 571,
comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen.: quanto alla prima norma, al testo
vigente ha premesso "Salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'art.
613, comma 1", quanto alla seconda, ha eliminato le parole iniziali "salvo che la
parte non vi provvede personalmente", mantenendo inalterata la previsione per la
quale il ricorso, le memorie ed i motivi nuovi devono essere sottoscritti da difensori
abilitati all'esercizio del patrocinio presso la Corte di cassazione.
1 personalmente l'interessato, il quale ha dedotto che le ragioni della domanda erano Sul piano testuale l'intervento novellatore assume un significato chiaro ed
inequivoco, perché esclude senza eccezioni di sorta la facoltà per la parte che è
imputata di proporre il ricorso senza il ministero di un difensore abilitato.
Recependo indicazioni contenute in precedenti progetti di riforma, nella
consapevolezza che il contenuto di elevato tecnicismo giuridico, richiedente il
possesso di nozioni approfondite ed abilità espressiva nella formulazione dei motivi
in coerenza col novero limitato delle censure proponibili ai sensi dell'art. 606 cod. mal si attaglia ad un atto redatto dalla parte senza l'assistenza di un professionista
legale abilitato, persegue la finalità di disincentivare il numero di ricorsi indirizzati
alla Suprema Corte e di impedire iniziative impugnatorie dilatorie e pretestuose.
Statisticamente sono le impugnazioni personalmente proposte che sortiscono il
maggior numero di dichiarazioni di inammissibilità per carenze deduttive e per
l'improprio contenuto del ricorso. Tramite il perseguito obiettivo di contenere la
sopravvenienza dei procedimenti e di impedire quelli più di frequente dichiarati
inammissibili, si è inteso creare le condizioni materiali per garantire un più efficace
e rapido sindacato di legittimità e per concentrare l'impegno della Corte Suprema
nell'assolvimento ai propri compiti istituzionali di organo giudiziario, deputato alla
nomofiliachia.
I lavori preparatori alla riforma svelano anche l'ulteriore intenzione del
legislatore di impedire la prassi elusiva della disposizione, nonché le conseguenze in
termini di sempre più incrementato carico di lavoro della Corte di cassazione, che
ammette i soli patrocinatori iscritti all'albo speciale dei cassazionisti a redigere il
ricorso per cassazione, nei casi in cui l'imputato si avvalga di difensore non
abilitato, ma sottoscriva personalmente l'atto d'impugnazione.
Gli obiettivi di semplificazione dell'intero sistema delle impugnazioni, di
decongestione delle pendenze innanzi alla Corte di cassazione, di valorizzazione
della sua funzione nomofilattica, quali principi ispiratori della L. n. 103 del 2017,
anche laddove ha conferito delega al Governo per introdurre ulteriori modifiche alla
disciplina dei mezzi d'impugnazione, sono stati segnalati da tutti i commentatori e
riscontrati anche dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 8825 del 27/10/2016,
Galtelli, rv. 268822, che, in riferimento all'allora disegno di legge, hanno
interpretato il requisito della specificità dei motivi di appello in termini che poi
hanno trovato positivo riconoscimento con la riformulazione dell'art. 581 cod. proc.
pen., disposta con la riforma.
1.3 Prima dell'intervento novellatore che ha inciso sugli artt. 571 e 613 del
codice di rito non si era mai dubitato dell'applicabilità della disciplina generale sulle
impugnazioni, comprese le disposizioni di cui all'art. 571 cod. proc. pen. e quelle
che regolano il procedimento camerale nel giudizio di legittimità, anche ai ricorsi 2 proc. pen. per far valere specifici vizi di legittimità del provvedimento impugnato, proposti per contestare provvedimenti adottati nella fase dell'esecuzione penale e
nei procedimenti incidentali sulla libertà personale. Per i primi l'art. 666 cod.
proc.pen., comma 6, mantenuto invariato anche dopo la riforma, prescrive "Il
giudice decide con ordinanza. Questa è comunicata o notificata senza ritardo alle
parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione. Si osservano, in
quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in
camera di consiglio davanti alla Corte di cassazione", mentre l'art. 311 cod. proc. dall'art. 127 cod. proc. pen..
La medesima affermazione di principio, che prevede uniformità di disciplina
quanto ai soggetti legittimati ed alle modalità di proposizione del ricorso per
cassazione, anche quando esperito per contestare provvedimenti giudiziali diversi
dalla sentenza, mantiene immutata la sua validità anche dopo la riforma, nel cui
ambito il ruolo assegnato all'art. 613 cod. proc. pen. è però mutato. Da norma
ricognitiva, dettata per il giudizio di legittimità, della facoltà riconosciuta più in
generale all'imputato all'art. 571 cod. proc. pen. di impugnare personalmente il
provvedimento sfavorevole (Sez. U, n. 19 del 21/6/2000, Adragna, rv. 21636; Sez.
U, n. 34535 del 27/6/2001, Petrantoni, rv. 219613; sez. 4, n. 121 del 14/12/2015,
dep. 07/01/2016, De Nicola, rv. 265461; sez. 4, n. 3630 del 14/01/2016, Romano,
rv. 265597) è divenuta disposizione derogatoria rispetto a quest'ultima, perché
impone l'obbligo di sottoscrizione del ricorso, delle memorie e dei motivi nuovi
soltanto da parte del difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione ed
equipara l'imputato alle altre parti private nell'esenzione dalla facoltà di ricorrere
personalmente e nella necessità di conferire apposito mandato a legale abilitato.
E poiché nella sua formulazione non contiene previsioni differenti, dedicate ai
procedimenti penali diversi da quello ordinario di cognizione, deve riconoscersi la
sua applicabilità al ricorso per cassazione anche se proposto dall'interessato
detenuto in espiazione di pena ed in merito ai benefici penitenziari. Al riguardo,
nonostante l'urgenza di approntare in tempi ristretti l'atto d'impugnazione per
proporlo tempestivamente nel rispetto del termine perentorio, la cui inosservanza è
sanzionata a pena d'inammissibilità, e l'intuibile difficoltà di provvedervi per chi sia
ristretto in carcere e debba subire limitazioni alla libertà di movimento e
comunicazione con l'esterno, non si ravvisano argomenti, né testuali, né
sistematici, per poter riconoscere una regolamentazione diversa da quella prevista
in via generalizzata dal nuovo testo dell'art. 613 cod. proc. pen..
1.4 La conclusione raggiunta, ad avviso del Collegio, non solleva problemi di
armonizzazione con i precetti costituzionali, né con quelli convenzionali.
1.4.1 La "ratio" ispiratrice della norma, individuabile nella razionalizzazione
dell'intervento decisorio nella fase di legittimità e nella sua concentrazione ai ca pen. prevede che la Corte di cassazione decida, osservando le forme previste che più propriamente richiedano l'interpretazione nomofilattica della legge, cui è
preposta la sola Corte di cassazione nell'ambito dell'ordinamento giudiziario, non è
condizionata dalla natura del procedimento penale, poiché il rimedio è identico ed i
poteri cognitivi della Corte non mutano, -salva qualche limitazione al catalogo dei
motivi, talvolta circoscritti alla sola violazione di legge, oggetto di previsione
espressa e testuale, contenuta nella legislazione speciale, ad esempio sulle misure
di prevenzione, oppure nell'art. 569 cod. proc. pen. per il ricorso immediato per Il legislatore, non irragionevolmente rispetto al fine perseguito, ha scelto di
realizzarlo mediante l'introduzione di criteri di limitazione della legittimazione ad
impugnare per cassazione in funzione dei requisiti soggettivi di preparazione,
conoscenza giuridica ed esperienza professionale.
1.4.2 Né si ravvisano profili di contrasto con il diritto di difesa e di azione in
giudizio di cui all'art. 24 Cost.: il diritto di accesso ai rimedi giurisdizionali non è
assoluto, né incomprimibile, ma può essere differenziato per le fasi del processo e
per le sue varie tipologie (Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006, Passamani, non
massimata sul punto; sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, rv. 257072) sino
anche a subire restrizioni in considerazione delle caratteristiche specifiche delle
impugnazioni e di esigenze di razionalità ed efficienza del sistema processuale e di
contenimento entro limiti ragionevoli della durata del processo, per la cui
regolamentazione e per la conformazione dei singoli istituti il legislatore fruisce di
ampia discrezionalità col solo vincolo della non manifesta irragionevolezza delle
scelte compiute (C. cost. n. 50/2010; n. 2217/2008; n. 379/2005; ord. n. 7/1997).
Sulla base dei medesimi principi la giurisprudenza di questa Corte esclude sia
ammessa l'autodifesa nel processo penale (sez. 5, n. 49551 del 03/10/2016, Mucci,
rv. 268744; sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Querci, rv. 256085; sez. 1, n. 7786
del 29/01/2008, Stara, rv. 239237).
E per quanto il sistema processuale penale all'art. 569 cod. proc. pen. ed
all'art. 111 Cost., comma 7, preveda il sindacato di legittimità sui provvedimenti
che incidono sulla libertà personale e su tutte le sentenze emesse nei gradi di
merito da giudici ordinari o speciali, tanto non equivale a riconoscere limitazioni
all'adozione di scelte di politica legislativa, che deflazionino le sopravvenienze dei
procedimenti e rendano più efficiente il giudizio di legittimità mediante una più
restrittiva disciplina dei soggetti legittimati.
1.4.3 Non si ravvisano difficoltà nemmeno sul piano della compatibilità
convenzionale della nuova formulazione dell'art. 613 cod. proc. pen.. L'art. 6, § 3,
lett. c), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle
libertà fondamentali ed anche il Patto internazionale relativo ai diritti civili o politici,
all'art. 14, comma 3, lett. d), stabiliscono il diritto dell'accusato di "difendersi da sè
4 cassazione-, a prescindere dalla materia penale oggetto della pronuncia impugnata. o avere l'assistenza di un difensore di propria scelta", riconoscendogli dunque anche
la possibilità di autodifesa esclusiva senza l'assistenza di alcun difensore.
Nell'interpretazione offerta, sia dalla Corte costituzionale (sent. n. 188 del 1980),
che dalla Corte di cassazione (sez. 1, n. 7786/2008 citata; sez. 3, n. 19964 del
29/03/2007, Stara, rv. 236734; sez. 5, n. 2333 del 15/12/1988, dep. 15/02/1989,
Grecchi, rv. 180523), le richiamate previsioni non assumono un significato
cogente, ma piuttosto programmatico e di principio nell'assenza di precetti parte della legislazione interna. Secondo la Consulta, "la Commissione stessa ha
avuto occasione di affermare che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato
dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di
avvocati davanti ai tribunali (ric. 722/60)" e che nei giudizi dinanzi ai giudici di
ultima istanza "nulla si oppone ad una diversa disciplina purché emanata allo scopo
di assicurare una buona amministrazione della giustizia (ric. 727/60 e 722/60)".
Sulle medesime posizioni si registrano pronunce della Corte Europea dei diritti
dell'uomo, la quale ha interpretato la disposizione dell'art. 6, § 3 lett. c), della
Convenzione come norma di principio, che rimette agli Stati contraenti la scelta
degli strumenti e delle modalità per consentire il diritto di autodifesa in modo tale
da armonizzarsi con i caratteri propri del giusto processo (Corte EDU, sez. 3,
27/04/2006, Sannino c. Italia, § 48).
Né si può prospettare la violazione dell'art. 2 del protocollo n.7 della
Convenzione EDU sotto il profilo della violazione della garanzia del doppio grado di
giurisdizione: la giurisprudenza della predetta Corte sovranazionale riconosce agli
Stati membri un ampio margine di determinare in via discrezionale le modalità di
esercizio del diritto in questione (Corte EDU, sez. 4, 20/10/2015, Di Silvio c. Italia,
§ 50), sempre che gli istituti previsti siano in grado di garantire concretezza ed
effettività del rimedio.
Al riguardo la condizione di detenuto ristretto in carcere non è in assoluto di
ostacolo al mantenimento ed alla presa di contatto con un difensore cassazionista,
che possa rappresentarlo e redigere per suo conto il ricorso in modo certamente più
appropriato e consapevole di quanto potrebbe fare lo stesso diretto interessato.
Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto: "La riforma degli artt. 571
cod. proc. pen., comma 1, e dell'art. 613 cod. proc. pen., apportata dalla legge 23
giugno 2017, n. 103, l'art. 1, commi 54 e 63, entrata in vigore il 3 agosto 2017,
laddove non consente all'imputato di proporre personalmente il ricorso per
cassazione senza il patrocinio di un difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di
cassazione, ha valore generale e si applica a tutti i procedimenti penali, anche a
quelli di esecuzione e nei confronti di tutti gli interessati, anche ai condannati
ristretti in espiazione di pena detentiva". 5 rAt- dettagliati che impongano modalità specifiche per il suo esercizio da osservarsi da 1.5 La considerazione del caso specifico in base ai principi suesposti induce a
ritenere inammissibile ai sensi dell'art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. a), il
ricorso del Villa, perchè proposto personalmente da soggetto non legittimato
avverso un provvedimento già emesso nel vigore della nuova disciplina dettata
dall'art. 613 cod. proc. pen.. Tale rilievo, per effetto della modifica apportata all'art.
610 cod. proc. pen., con l'inserimento del nuovo comma 5 bis, operato dalla legge
n. 103/2017, abilita altresì questa Corte a pronunciare l'inammissibilità "de plano". processuali; tenuto conto dell'entrata in vigore della nuova disciplina il giorno
antecedente la redazione del ricorso e della novità della questione relativa alla
legittimazione a ricorrere per cassazione, si ritiene di non dover gravare il ricorrente
della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, prevista dall'art.
616 cod. proc. pen.. P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2017. Segue di diritto la condanna del proponente al pagamento delle spese