Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19282 del 03/02/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19282 Anno 2017
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FILIPPONE ROCCO N. IL 21/02/1981
avverso l’ordinanza n. 785/2016 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 11/08/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
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Uditi difensor Avv.;
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Data Udienza: 03/02/2017

RITENUTO IN FATTO
Ricorre per cassazione, a mezzo dei difensori, FILIPPONE Rocco avverso l’ordinanza
del Tribunale del riesame di Reggio Calabria che 1’11 agosto 2016 ha confermato
l’ordinanza del G.I.P del Tribunale che il 14 luglio 2016 gli aveva applicato la misura
cautelare della custodia in carcere con riguardo al reato di partecipazione
nell’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta (cosca GAGLIOSTROPARRELL0), in costante rapporto con il capo cosca GAGLIOSTRO Carmelo con il ruolo

28.8.2012 della ditta ALENEL srl; coadiuvare fattivamente il GAGLIOSTRO nella fase
preparatoria della partecipazione alla gara di appalto bandita dall’Università della
Calabria nel novembre 2011 per la pulizia dei locali della struttura, mediante ditte
non apparentemente ma sostanzialmente riconducibili alla cosca; coadiuvare
fittiziamente il CAGLIOSTRO nell’attività di commercializzazione di materiale plastico
acquistato dalla ditta SOLDERPLAST con sede in Rho anche attraverso la tenuta della
contabilità.
Ricorso Avv. Carlo Morace deduce:
1. violazione di legge e il vizio della motivazione. Lamenta che il tribunale ha eluso la
questione di diritto sollevata, ossia come da una condotta che non risulta nemmeno
integrare il reato di cui all’articolo 12 quinquies si arrivi a contestare il delitto di
partecipazione ad associazione mafiosa. Sostiene che non vi è alcun elemento che
consenta di ritenere che il ricorrente abbia posto in essere condotte illecite o si sia
rappresentato un interesse della cosca nell’intraprendere le attività contestate. Viene
rilevato che l’elemento che, secondo l’ordinanza impugnata, dimostrerebbe la
pluralità dei rapporti e la messa a disposizione stabile per l’interesse della cosca non
è altro che l’espressione di un’attività lavorativa di contabilità alla quale il ricorrente
si dedicava da tempo. Le stesse telefonate poste a fondamento dell’accusa non
sarebbero caratterizzate dal tenore mafioso, ma riguarderebbero attività lavorativa
lecita. Viene evidenziato che tutte le risultanze dell’attività investigativa possono
trovare una spiegazione alternativa al rapporto di filiazione e si lamenta che il
tribunale non si è minimamente preoccupato di argomentare le ragioni di tale
esclusione. Si sottolinea quindi che oltre a sussistere il vizio di illogicità sussiste
anche quello del difetto di percezione dell’esatto contenuto dell’impugnazione
difensiva e quindi di conseguenza di omessa motivazione in ordine a censure
specificamente dedotte nel procedimento di impugnazione dell’originaria misura
cautelare. In sintesi secondo il ricorrente il tribunale del riesame nel giudicare la
sussistenza dei gravi indizi si è accontentato di sostenere la partecipazione
all’associazione mafiosa scambiando per tale la sua adesione ad un progetto
lavorativo concernente la struttura ricettiva solo perché alla stessa è stato ritenuto
1

di: eseguire pedissequamente le direttive di quest’ultimo; di intestatario fittizio dal

interessato il CAGLIOSTRO soggetto che però all’epoca era un imprenditore che
partecipava alle gare pubbliche ed era incensurato. In particolare il tribunale non ha
dato risposta ai seguenti punti: 1) la conoscenza in capo al FILIPPONE dello status di
mafioso del GAGLIOSTRO; 2) lo stabile inserimento dell’odierno ricorrente all’interno
della cosca; 3) la sua coscienza e volontà di farne parte; 4) il fattuale concreto
apporto del FILIPPONE alla vita dell’associazione e il modo in cui le sue condotte ne
abbiano rafforzato l’operatività;

Sostiene che l’analisi delle condotte, anche per come risultano nell’ipotesi
accusatoria, depongono per l’insussistenza delle esigenze cautelari considerato che
l’apporto del ricorrente si è sostanziato in un contributo minimo ed occasionale
nell’ambito delle attività lecite del CAGLIOSTRO
Ricorso Avv. Bernardo CIARAVOLO:
1. nullità dell’ordinanza per violazione degli articoli 309 comma 5 e 10 codice
procedura penale. Lamenta che dagli atti trasmessi al tribunale del riesame mancano
la sentenza e gli atti del procedimento denominato “COSA MIA” posti a fondamento
della misura cautelare e dell’ordinanza impugnata. A tal fine vengono depositati gli
indici dei faldoni depositati innanzi al tribunale dai quali emerge che non è stata
depositati ed acquisita la motivazione della sentenza COSA MIA e neppure l’allegato
C 28 dell’informativa OPERAZIONE TRENT’ANNI DI FILOSOFIA;
2. inutilizzabilità delle dichiarazioni ed accertamenti emersi dal procedimento e dalla
sentenza “COSA MIA” per lesione del diritto di difesa perché alla difesa non è stato
consentito di visionare né tantomeno estrarre copia degli atti poiché non depositati e
non trasmessi al tribunale del riesame;
3.

inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per inosservanza delle norme

stabilite a pena di nullità o decadenza con riferimento all’erronea applicazione
dell’articolo 266 e 267 codice procedura. Lamenta la mancanza di motivazione dei
decreti autoritazzativi e delle richieste di proroga con conseguente inutilizzabilità dei
risultati acquisiti. Lamenta anche che le proroghe sono avvenute successivamente
alla scadenza;
4. gli ulteriori motivi contestano la sussistenza dei gravi indizi e delle esigenze
cautelari ;

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso a firma Avv. Morace è infondato.

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2. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alle esigenze cautelari.

L’associazione di tipo mafioso si differenzia dalla comune associazione per delinquere
anche per il fatto che essa non è necessariamente diretta alla commissione di delitti,
anche se, ovviamente, questi possono rappresentare (e, di fatto, normalmente
rappresentano) lo strumento mediante il quale gli associati puntano a conseguire i
loro scopi. Ad una tale affermazione è facile giungere sulla base di un semplice
raffronto testuale fra l’art. 416 e l’art. 416 bis cod. pen. Mentre, infatti, la prima di
tali norme, sotto la rubrica “associazione per delinquere”, prevede il fatto di tre o più
persone che si associno allo scopo esclusivo di “commettere delitti”, la seconda, sotto

delinquere”), prevede che gli aderenti ad una tale associazione si avvalgano della
particolare forza di intimidazione di siffatto vincolo e della condizione di
assoggettamento e di omertà che ne deriva non solo per “commettere delitti” ma
anche (congiuntamente o alternativamente), per acquisire in modo diretto o
indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di
autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per
sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di
procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Ciò detto, non
colgano nel segno le censure proposte dalla difesa, in ordine alla configurabilità del
reato di partecipazione anche a carico di chi, come si assume per il ricorrente, si sia
limitato ad aderire a progetti lavorativi che facevano capo al GAGLIOSTRO.
Il tribunale ha infatti dato atto, richiamando l’approfondita disamina svolta dal GIP,
dell’attività, accertata in più di una sentenza, della cosca GAGLIOSTRO a far data
dagli anni ’70 nei più svariati settori illeciti quali quello delle estorsioni, delle armi e
degli stupefacenti e ha sottolineato come l’indagine che ha originato l’ordinanza oggi
impugnata lascia emergere l’esistenza di gravi indizi in ordine alla perdurante ed
attuale operatività della cosca non solo nel territorio di Palmi ma anche nel resto del
territorio nazionale, in special modo, nel nord Italia. Gli elementi probatori si fondano
principalmente sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali che hanno dimostrato
l’esistenza di una solida alleanza affaristica imprenditoriale tra la cosca in argomento
è quella RASO-GULLACE-ALBANESE grazie alla quale è stata facilitata l’infiltrazione
‘ndranghetistica nel tessuto economico del Nord Italia. In particolare sono state
evidenziate le intercettazioni che comprovano l’interazione affaristica fra le due
cosche nel settore della produzione delle lampade a led, avviata dalla ditta
PHOTRONIX srl, di fatto riconducibile al boss GAGLIOSTRO e al GULLACE. Così come
per documentare l’attuale importanza e prestigio che gode ancora la cosca
GAGLIOSTRO-PARRELLO e il ruolo di spicco che ricopre al suo interno GAGLIOSTRO
Candeloro è stato richiamato l’episodio avvenuto nell’ottobre del 2012 dal quale
emerge che per intraprendere affari ed investimenti all’interno del territorio di Palmi,
roccaforte della cosca, era necessario ottenere il placet del boss. Si tratta
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la rubrica “associazione di tipo mafioso” (priva, non a caso, dell’inciso “per

dell’episodio che ha visto come protagonista CAMINITI Fortunato detto Gaetano,
indicato come appartenente alla cosca RASO-GULLACE-ALBANESE, che, dovendo
accettare l’incarico di amministratore di una clinica medica aveva chiesto al
GAGLIOSTRO, contattandolo in Piemonte presso SOFIO Orlando, ove in quel periodo
si trovava, l’autorizzazione a che la struttura sanitaria potesse essere edificata in
territorio di Palmi, riconoscendogli così la veste di capo e di reggente su detto
territorio.

la perdurante vitalità della cosca, estesa oltre che ai tradizionali ambiti illeciti anche a
quello delle attività economiche-imprenditoriali esercitate attraverso la totale
alterazione delle normali regole del libero mercato e attraverso l’investimento reso
possibile anche mediante il frequente ricorso ad attività di intestazione fittizia di beni
ed aziende, ovvero a condotte intimidatorie poste in essere nei confronti dei
lavoratori delle aziende facenti capo al GAGLIOSTRO nella vicenda delle vertenze
sindacali e nei diffusi condizionamenti nell’assegnazione degli appalti determinando in
tal modo un sostanziale annullamento della concorrenza con conseguente riflesso
esterno in termini di assoggettamento e di controllo di una determinata area
territoriale.
Ciò premesso deve rilevarsi che assume il ruolo di partecipe ad associazione di
stampo mafioso non soltanto chi abbia personalmente posto in essere attività
mafiose, essendo sufficiente l’aggregazione ad una organizzazione di tal genere, in
modo che il soggetto divenga organico alla stessa e si renda così partecipe delle
iniziative criminose poste in essere dai membri (C., Sez. I, 17.2.2003, che riconduce,
in modo assolutamente non perspicuo, il concetto di partecipazione a quello di
aggregazione). Se è vero che la messa a disposizione dell’organizzazione criminale
non può risolversi nella mera disponibilità ,eventualmente manifestata nei confronti
di singoli associati, quand’anche di livello apicale, a servizio di loro interessi
particolari, ma deve essere incondizionatamente rivolta al sodalizio ed essere di
natura ed ampiezza tale da dimostrare l’adesione permanente e volontaria ad esso
per ogni fine illecito suo proprio (C., Sez. I, 7.6.2011, n. 26331); è pur vero che il
Tribunale ha dato atto di come la disponibilità offerta dal FILIPPONE in plurime
occasioni, non contestata in fatto dalla difesa, diversamente da quanto sostenuto
nella memoria difensiva del 10.8.2016, si inserisce , al pari di quella svolta da altri
sodali, in una messa a disposizione alle finalità illecite, di ordine economico, del
GAGLIOSTRO come capo della cosca , condividendone le scelte imprenditoriali utili al
conseguimento dei fini della cosca stessa in un rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare un ruolo
dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato «prende parte» al
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In particolare il tribunale ha sottolineato che le emergenze processuali hanno svelato

fenomeno associativo, essendosi

la sua attività tradotta in un vero e proprio

contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del
rafforzamento della consorteria .
Deve aggiungersi che nessuna rilevanza assume la mancata conferma della misura
cautelare reale con riguardo al reato di cui all’art. 12 quinquies L. n. 306/92
considerato che la norma richiede il fine elusivo che nel caso di specie non è stato
ritenuto sussistente, mentre e è stato confermato che il FILIPPONE, al pari di altri
sodali, si erano prestati alla costituzione formale di numerose attività economico-

imprenditoriali riconducibili al GAGLIOSTRO .
Può quindi affermarsi che lo sviluppo argomentativo della motivazione del
provvedimento impugnato è fondato su una corretta e coerente analisi degli elementi
indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del
quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti
elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati
conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine
concernente la responsabilità del FILIPPONE in ordine al delitto di partecipazione alla
associazione mafiosa che fa capo al GAGLIOSTRO. L’ordinanza impugnata supera
pertanto il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può
che arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai
canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza,
prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà
personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al
giudice di merito.
Il Tribunale ha fornito ampia motivazione anche in merito alla sussistenza delle
esigenze cautelari (pericolo i inquinamento probatorio e di prevenzione speciale),
rifacendosi alla presunzione di cui al terzo comma dell’art. 275 c.p.p. che inverte gli
ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che
conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrare in positivo la
ricorrenza dei pericula líbertatís, ma deve soltanto apprezzare le ragioni di
esclusione, eventualmente evidenziate dalla parte o direttamente evincibili dagli atti,
tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione (Sez. 1, n. 45657 del 6
ottobre 2015, Varzaru, Rv. 265419; Sez. 1, n. 5787 del 21 ottobre 2015, Calandrino,
Rv. 265986). Nel caso in esame il Tribunale ha dato atto dell’estrema pericolosità del
sodalizio, tuttora operante, capace di infiltrarsi nel tessuto economico ed
imprenditoriale, grazie all’apporto di soggetti come il ricorrente che non risulta abbia
rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa.
Va inoltre ricordato come, anche a seguito dell’intervento riformatore di cui alla I. n.
47/2015, a fronte della contestazione del reato di associazione mafiosa, l’art. 275
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comma 3 c.p.p. continua a prevedere una doppia presunzione, relativa quanto alla
sussistenza delle esigenze cautelari ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della
misura carceraria. Pertanto, qualora sussistano i gravi indizi di colpevolezza del
delitto di partecipazione mafiosa e non ci si trovi in presenza, come nel caso in
esame, di una situazione nella quale fa difetto una qualunque esigenza cautelare,
deve trovare applicazione in via obbligatoria la misura della custodia in carcere
Infondato ai limiti dell’inammissibilità è anche il ricorso presentato dall’Avv.

Con riguardo al primo motivo di ricorso deve rilevarsi che gli elementi che secondo la
formulazione dell’art. 291, comma primo, c.p.p. devono essere posti a base della
richiesta del pubblico ministero, ai fini della emissione della misura cautelare (e poi
trasmessi al giudice del riesame), non possono essere individuati che negli atti di
indagine svolti dai pubblico ministero; atti che sono nella esclusiva disponibilità
dell’inquirente. Solo per tali atti sfavorevoli o favorevoli all’indagato può ipotizzarsi,
rispettivamente, un onere o un obbligo di allegazione alla richiesta di misura
cautelare, in quanto solo in relazione ad essi è concepibile la necessità di una
presentazione finalizzata al compiuto realizzarsi dell’esercizio del diritto di difesa
nell’ambito del procedimento incidentale trattandosi di atti che l’indagato non
potrebbe comunque conoscere o procurarsi nel momento dell’inizio di detto
procedimento. Per quel che attiene alle acquisizioni documentali, se l’espressione
usata dal codice (“Elementi su cui la richiesta si fonda”) può estendersi a quelle
acquisizioni possibili solo attraverso l’intervento del pubblico ministero (si pensi alla
acquisizione di atti assunti a seguito di un provvedimento di perquisizione e
sequestro), è certo che dalla locuzione devono rimanere esclusi gli atti giudiziari
(relativi ad altri procedimenti) che siano divenuti pubblici e che possono essere
richiesti dalle parti interessate alle pubbliche autorità che li hanno emanati. In tale
categoria rientrano le sentenze (ancorché non definitive), atto della cui mancata
trasmissione al tribunale del riesame la difesa si duole, tra l’altro solo in questa sede.
(in tal senso Sez. 6, n. 2946 del 01/12/2000 Cc. (dep. 10/01/2001 ) Rv. 220276
Sez. 6 n. 9688 del 04/02/2003 Cc. (dep. 03/03/2003 ) Rv. 223786 )
La censura relativa alle intercettazioni è inammissibile.
Lamenta il ricorrente un difetto di motivazione dei decreti autorizzativi e di quelli di
proroga che si sarebbero limitati a recepire la richiesta di autorizzazione avanzata dal
pubblico ministero che a sua volta aveva ripreso le argomentazioni svolte dai
verbalizzanti e contesta che le proroghe sono avvenute successivamente alla
scadenza.

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Ciaravolo.

In relazione alla doglianza con cui si denuncia la illegittimità dei decreti autorizzativi
perché mancanti di motivazione, occorre rilevare che essa, oltre che proporre
censure generiche in quanto non si specificano e non si allegano i singoli decreti che
si assumono immotivati, non può non rilevarsi che si tratta di censure non dedotte in
sede di riesame, e che in caso di provvedimento applicativo di misura cautelare
personale basato sul risultato di intercettazioni telefoniche o ambientali, avverso il
quale sia stata esperita la procedura di riesame conclusasi con la conferma di detto
provvedimento, non è deducibile per la prima volta, in sede di ricorso per cassazione

suddette intercettazioni, quando si voglia farla derivare da un asserito difetto di
motivazione, precedentemente mai denunciato (cfr. (Sez. III n 32669 del 2015 Rv.
264518; Sez. V n. 39042 del 2008 Rv. 242319; Sez. V, sent. n. 795 del 2000; Sez.
I, 12.11.1998, Azzolina, RIV 212127; Cass., Sez. I, 22.5.1998, Brusaferri, RIV
211017). Così come non è deducibile per la prima volta, in sede di ricorso per
cassazione, proposto avverso la decisione del Tribunale del riesame, l’inutilizzabilità
delle suddette intercettazioni, quando si voglia farla derivare da questioni di fatto
circa l’assenza dei presupposti per la proroga dell’efficacia dei decreti originari che il
ricorrente nemmeno deduce esser state precedentemente eccepite. (Cass. sez. III n.
32699 del 2015)
Con riguardo ai restanti motivi di ricorso non può che richiamarsi quanto già indicato
con riguardo alle esigenze cautelari e alla gravità indiziaria allorchè si è trattato
analoga censura sollevata dal codifensore sottolineando come le deduzioni formulate
in proposito si sostanziano nella prospettazione di una diversa lettura, che non
compete a questo Giudice di legittimità, delle emergenze processuali rispetto a quella
offerta dal provvedimento impugnato.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al
pagamento delle spese processuali

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Si
provveda a norma dell’art. 94 disp. Att. C.p.p.
Così deliberato in Roma il 3.2.2017

proposto avverso la decisione del Tribunale del riesame, l’inutilizzabilità delle

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