Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 811 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 811 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Martino Antonio, nato a Crotone in data 01/09/1979

avverso l’ordinanza del 14/06/2012 del Tribunale di Catanzaro R.G. 446/2012
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di Consiglio la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De
Marzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza
impugnatacon rinvio;
udito per l’imputato l’Avv. Romualdo Truncé, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 14/06/2012, il Tribunale di Catanzaro, a seguito della
sentenza n. 252/2012 del 31/01/2012 della I sezione di questa Corte, che aveva
annullato l’ordinanza resa dal medesimo Tribunale in data 07/06/2011, ha
accolto l’appello del P.M. avverso l’ordinanza della Corte d’assise d’appello di
Catanzaro del 30/03/2011, ripristinando nei confronti di Antonio Martino la
misura della custodia cautelare in carcere.

Data Udienza: 30/11/2012

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2. Il Tribunale di Catanzaro ha rilevato: a) che con sentenza del 06/04/2011 la
Corte d’assise d’appello di Catanzaro, previa esclusione per tutti gli imputati
dell’aggravante di cui all’art. 7 del di. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con I.
12 luglio 1991, n. 203, e procedendo ad un diverso giudizio di comparazione
delle circostanze, aveva rideterminato la pena inflitta al Martino in anni quattro,
mesi cinque e giorni dieci di reclusione; b) che con sentenza n. 9267 del
03/02/2012, la li sezione di questa Corte aveva annullato la sentenza di cui alla
lett. a), quanto al riconoscimento delle attenuanti generiche; c) che, nel caso di

del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, persistevano esigenze di cautela e, in
particolare, il concreto pericolo della commissione di analoghe violazioni di legge,
in relazione alla notevole gravità del reato e alla personalità dell’imputato,
inserito per un periodo prolungato in un contesto criminale plurisoggettivo in
grado di movimentare notevoli quantitativi di sostanze stupefacenti e attinto da
condanne per numerose fattispecie delittuose (minacce, porto d’armi, detenzione
di sostanze stupefacenti, oltraggio a pubblico ufficiale, furto, contravvenzioni in
materia edilizia, violazioni delle prescrizioni relative alla misura della
sorveglianza speciale e all’obbligo di soggiorno); d) che, una volta intervenuta la
sentenza di condanna, la valutazione delle esigenze cautelari deve mantenersi
nell’ambito della ricostruzione operata dalla pronuncia di merito non solo per
quel che attiene all’affermazione di colpevolezza e alla qualificazione giuridica,
ma anche in relazione a tutte le circostanze fattuali accertate; e) che, nonostante
l’obiettivo ridimensionamento della sanzione irrogata, il mero decorso del tempo
dalla commissione dei fatti e dalla sottoposizione alle misure restrittive (pari a
circa quattro anni e due mesi, di cui solo tre trascorsi in costanza di regime
carcerario, a fronte della pena sopra indicata), non appariva idoneo ad elidere il
quadro cautelare; f) che comunque il trattamento sanzionatorio più favorevole
riconosciuto al Martino in secondo grado era stato rimesso in discussione dalla
sentenza n. 9267 del 2012 della 5.C.; g) che, in definitiva, la custodia cautelare in
carcere era l’unica misura proporzionata all’estrema gravità del fatto e in grado
di fronteggiare la ragguardevole inclinazione del prevenuto all’illecito, mentre la
misura custodiale domiciliare così come le altre meno afflittive misure coercitive
non avrebbero potuto fronteggiare il rischio della possibile reiterazione del delitto
associativo né erano idonee a recidere i legami che tempo avvincevano
l’imputato alla criminalità organizzata radicata nel crotonese.
3. Nell’interesse del Martino è stato proposto ricorso per cessazione, con il quale
si lamenta inosservanza della legge penale, con particolare riferimento agli artt.
274, comma 1, lett. c), 275, commi 2 e 3, 299, cod. proc. pen., nonché manifesta
contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Il ricorrente si duole del fatto che l’ordinanza impugnata non abbia chiarito nei
fatti quali siano le allarmanti esigenze cautelari fronteggiabili solo con la misura

specie, in cui il Martino è stato ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 74

carceraria e non abbia assegnato alcun valore positivo al pur riconosciuto
obiettivo ridimensionamento della sanzione irrogata, come pure all’esclusione di
responsabilità per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. e della sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 del citato d.l. n. 152 del 1991, al contesto
profondamente mutato a distanza di oltre venti anni dal dies a quo del capo 79
per cui si è avuta condanna e risalente al 1990, al periodo di custodia cautelare
presofferto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.

A seguito della sentenza della I sezione di questa Corte n. gi del 31/01/2012 il

Tribunale di Catanzaro era chiamato a delibare l’appello proposto dal Procuratore
Generale avverso l’ordinanza con la quale era stata revocata la misura della
custodia cautelare in carcere applicata nei confronti del Martino, tenendo conto,
da un lato, del ridimensionamento della pena inflitta all’imputato in secondo
grado e, dall’altro, del tempo trascorso dallo stesso in stato di detenzione oltre
che dal momento della commissione del fatto.
In linea con tali indicazioni, il giudice del rinvio ha ampiamente motivato in
ordine alle ragioni specifiche di pericolosità del Martino, valorizzando sia le
modalità del fatto per il quale si è giunti alla affermazione della sua
responsabilità, con riguardo al contesto plurisoggettivo in grado di movimentare
notevoli quantità di stupefacenti, sia la personalità dell’imputato, attraverso il
riferimento ai numerosi precedenti, in grado ad esprimere una propensione
all’illecito non suscettibile di incontrare adeguato contenimento nella minaccia
della sanzione.
In tale contesto, il Tribunale di Catanzaro ha escluso che la riduzione dell’entità
della pena inflitta, come pure il tempo decorso possano rappresentare elementi
idonei, nella specifica situazione sopra descritta, ad attenuare le esigenze
cautelar’ e a giustificare misure meno afflittive.
Siffatto apparato argomentativo rappresenta puntuale attuazione delle
indicazioni provenienti da questa Corte con la sentenza di annullamento. In
effetti, in tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo trascorso
dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma 2,Iett. c) cod. proc. pen.,
impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità
del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la
decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale
dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. U, n. 40538
del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244377).
Nella specie, il Tribunale di Catanzaro ha concluso, per le ragioni che si sono
sopra indicate, nel senso che un tale affievolimento non s’è registrato.
Il ricorso non censura le circostanze obiettive valorizzate dal giudice del rinvio né
indica quali sono le positive emergenze processuali dalle quali l’ordinanza
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sarebbe disancorata, talché, esclusa la sussistenza della carenza di motivazione
o di profili di contraddittorietà, deve del pari escludersi che l’ordinanza
impugnata sia viziata da un’illogicità manifesta.
2. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il Consigliere estensore

Il Pre

nte

Così deciso in Roma il 30/11/2012

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