Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3294 del 23/11/2012

Penale Sent. Sez. 4 Num. 3294 Anno 2013
Presidente: MARZANO FRANCESCO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) A.A.
avverso la sentenza n. 492/2010 CORTE APPELLO di TRENTO, del
18/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Gpnerale in persona del Dott. .01144/4 0
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi il difensore Avv.

11,6-1 Q

Data Udienza: 23/11/2012

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Rovereto, con sentenza del 7/10/2010, condannò
A.A., giudicato colpevole del reato di cui all’art. 186, commi 1 e 2,
lett. b), c.d.s., applicate le attenuanti generiche, alla pena reputata di
giustizia. La Corte d’Appello di Trento, con sentenza del 18/1/2012, confermò
la statuizione di primo grado, impugnata dall’imputato.

illustrando l’unitaria censura di cui appresso.
3. Il ricorrente deduce violazione dell’art. 59 della L. n. 689/1981,
sotto i seguenti profili.
La Corte d’Appello d Trento aveva disatteso l’istanza di sostituzione della
pena, ex art. 53 della citata L. n. 689 assumendo ricorrere «la condizione
impeditiva alla sostituzione della pena detentiva, costituita (…) dalla esistenza
di più di due condanne a carico dell’imputato per reati della stessa indole, in
presenza di fatto commesso nell’ultimo decennio, quale, appunto è quello
oggetto dell’attuale processo (…). E’ utile evidenziare che il decennio
menzionato dalla norma, deve riguardare l’epoca di commissione del fatto da
giudicare e non la sua distanza temporale dai precedenti, che possono ben
risalire ad oltre 10 anni.>>.
Il ricorrente contesta radicalmente la detta interpretazione: a non voler
violare l’art. 27, Cost., lasciando che l’ammissibilità dell’istituto dipenda dalla
durata del processo, al quale l’imputato resta estraneo, non resta che ritenere
che la legge abbia inteso escludere dal beneficio il soggetto che abbia
riportato più di due condanne per reati della stessa indole nei dieci anni
precedenti al reato per il quale avanza richiesta di sostituzione. La proposta
chiave di lettura, a parere del ricorrente, costituisce l’unica compatibile con la
ratio dell’istituto, non potendosi soggettivamente addebitare all’imputato il

trascorrere del tempo necessario al processo.
Peraltro, in tal senso, pur nel contesto motivazionale di una sentenza
d’inammissibilità, si era espressa la Corte Costituzionale (sent. n. 183 del
9/6/2000).
Precisa, inoltre, l’impugnante che il termine decennale deve computarsi
dal giorno del commesso reato e non da quello della condanna per due ordini
di ragioni: a) questo il senso della lettera della legge, la quale si riferisce ai
fatti commessi nell’ultimo decennio; b) questa l’indicazione costituzionale, non
potendosi addebitare all’imputato circostanze da lui non dipendenti, qual il
passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

1

2. Avverso quest’ultima sentenza il A.A. ricorreva per cassazione

In definitiva, poiché il primo dei pregiudizi penali, per il quale venne
applicata pena patteggiata il 30/11/1999, venne commesso il 5/10/1998, cioè
oltre il decennio dal fatto per cui è processo (1/7/2009), restando a carico del
A.A. solo due sentenze di condanna, il predetto aveva diritto all’invocata
sostituzione della pena.
Ove, poi, l’unica interpretazione praticabile fosse stata ritenuta quella
avversata dall’imputato, il predetto solleva eccezione d’incostituzionalità

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Dispone il comma 2 dell’art. 59 della L. 24/11/1981, n. 689:
«La pena detentiva, se è stata comminata per un fatto commesso
nell’ultimo decennio, non può essere sostituita:
a) nei confronti di coloro che sono stati condannati più di due volte per reati
della stessa indole. (…)».
A carico del ricorrente risultano (dal certificato penale) i seguenti precedenti
specifici qui rilevanti: 1) su richiesta delle parti applicata sanzione penale, con
sentenza del 30/11/1999, divenuta irrevocabile il 17/3/2000, per guida senza
patente perpetrata il 5/10/1998; 2) condannato con decreto penale del
13/6/2005, divenuto irrevocabile il 7/7/2005, per Identico fatto, commesso
1’8/1/2005; 3) su richiesta delle parti applicata sanzione penale, con sentenza
del 4/10/2006, irrevocabile il 20/11/2006, sempre fatto identico commesso il
16/6/2003.
La norma, in definitiva, dopo aver posto il limite del decennio, il quale si
risolve in un’astratta condizione di favore (in concreto, invero, tenuto conto
della natura del reato e del decorso dei termini prescrizionali, appare alquanto
improbabile che un fatto commesso anteriormente all’ultimo decennio possa
risultare ancora punibile), fa dipendere la condizione ostativa dalla pregressa
plurima condanna per reati della stessa indole (almeno tre).
Di conseguenza, sussistono i presupposti ostativi previsti dalla norma
richiamata: il fatto per cui si procede risulta commesso nell’ultimo decennio
(1/7/2009) e l’imputato risulta già segnato da tre pronunzie («più di due
volte») per reati della stessa indole.
Pur vero che, non avendo la disposizione ancorato ad alcun collegamento
temporale i tre precedenti ostativi e l’ultimo fatto per cui si procede ai primi,
possono originarsi applicazioni che lasciano perplessi, stante che i detti
precedenti potrebbero risalire ad epoca remota, come, peraltro, lascia
parimenti perplessi il limite decennale, la cui integrazione, può dipendere dalla
mera durata del processo.
2

dell’art. 59 in discorso.

Tuttavia il contenuto normativo, ampiamente criticabile, non può essere
radicalmente stravolto in sede interpretativa, giungendo fino a stabilire un
limite temporale alla rilevanza dei precedenti specifici, del tutto estraneo alla
disposizione, nel mentre, come si è anticipato, dall’eliminazione del termine
decennale deriverebbe solo l’effetto sfavorevole di rendere preclusiva
l’esistenza dei tre precedenti, quale che sia l’epoca dell’ultimo fatto per cui si
procede.

Difetti, come, peraltro, ricordato dallo stesso ricorrente, la Corte Cost.,
investita della questione ha emesso pronuncia d’inammissibilità (sent. n. 183
del 9/6/2000), non solo perché, come si è anticipato, «se si accogliesse la
questione di legittimità mediante la caducazione dell’inciso contenuto
nell’alinea del comma 2 dell’art. 59, si determinerebbero effetti “in malam
partem” (…)>›, ma anche perché si opererebbe nella sfera di esclusiva
discrezionalità del legislatore, preclusa alla Corte Costituzionale, spettando al
primo individuare le scelte opportune al fine di superare le contraddizioni
derivanti dall’attuale formulazione. Di talché la questione oggi riproposta
appare manifestamente infondata.
6. Consegue all’esposto il rigetto del ricorso, dovendosi ritenere che la
condizione ostativa maturi nel momento in cui intervenga, nell’ultimo
decennio anteriore alla definizione del giudizio, l’ulteriore condanna per reato
della stessa indole, restando irrilevante l’epoca delle precedenti condanne
(conformi, Cass., Sez. IV, 24/5/1985; Ruffini Sez. V, Paternostro,
10/11/1994), non potendosi, quindi, per le esposte ragioni, condividere
diversa interpretazione (Cass., IV, 21/2/1986; Sez. V, 24/5/1985; non
appaiono, invece, dirette a statuire in materia le sentenze n. 29566, della
Sez. H del 22/3/2006, n. 13948 della Sez. III del 29/2/2012 e delle S.U. n.
1601 del 13/1/1995, bensì a sciogliere il dubbio interpretativo afferente al
numero delle pronunce di condanna necessario per l’effetto ostativo).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso

23/11/2012.

5. Né, peraltro, è percorribile l’invocato ricorso al Giudice delle leggi.

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