Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 216 del 22/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 216 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) ANGELONI EMANUELE N. IL 28/04/1980
avverso l’ordinanza n. 1056/2012 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
18/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;
lptté/sentite le conclusioni del PG Dott. Vg2.(2-9,-0–e • Roy9-3.,
c5a-Q_

Uditi difensor Avv.;

g-,

Data Udienza: 22/11/2012

Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

Ritenuto in fatto
1. Angeloni Emanuele propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe
con la quale il tribunale di Roma, sezione del riesame, ha confermato quella di
custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti limitatamente al delitto di cui
agli articoli 110 del codice penale, 73, 80 d.p.r. 309/ 90 per l’illecita importazione e
raffinazione in Italia di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo
cocaina estratto da tessuti impregnati di sostanza, parte del quale – circa 220 g di
cocaina pura -, sottoposto sequestro. Fatto accertato in Roma il 21 novembre 2011.
2. Deduce in questa sede il ricorrente:
2.1 la violazione degli articoli 178 lettera c), 606 lettere b), d) ed e) cpp per il
mancato rilascio di copia dei supporti magnetici contenenti le intercettazioni citate
nell’ordinanza applicativa della misura cautelare con riferimento alla sua posizione;
2.2 la violazione dell’articolo 268 comma 3 cpp per essere state utilizzate per le
operazioni di intercettazione impianti diversi rispetto a quelli autorizzati. Al riguardo
si fa rilevare che se è vero che la procura della Repubblica di Roma aveva richiesto al
pubblico ministero di Velletri l’autorizzazione all’uso della sala di ascolto in loco in
quanto collegata alla caserma del nucleo operativo radiomobile dei carabinieri di
Frascati che già avevano in precedenza proceduto alla attività di intercettazione in
relazione ad altri reati (in particolare commissione di furti in abitazione) e che nel
corso di essa era scaturita la notitia crinis che aveva portato alla scoperta dei reati
all’esame in questa sede, nondimeno il tribunale del riesame avrebbe omesso di
valutare che presso la sala intercettazioni dei Carabinieri di Frascati non si era in
realtà proceduto al riascolto delle telefonate ma era stata posta in essere l’intera
attività captativa. In proposito vengono citate dal ricorrente una nota investigativa del
27 novembre 2011 in cui si dà atto di aver dato inizio alle operazioni di
intercettazione telefonica, altra informativa del 17 febbraio 2012 che fa anch’essa
riferimento all’inizio dell’attività di intercettazione, i verbali di trascrizione su carta
intestata dei carabinieri di Frascati in cui si dà atto di aver proceduto all’ascolto alla
trascrizione delle conversazioni;
2.3 la violazione dell’articolo 360 cpp per il mancato avviso in relazione
all’espletamento di accertamenti tecnici irripetibil i sulla sostanza stupefacente
sequestrata. In proposito si evidenzia che nel verbale di conferimento dell’incarico si
faceva espressamente riferimento anche all’articolo 360 cpp ed all’articolo 117 disp.
Att. cpp e peraltro si sottolinea come le operazioni svolte dai carabinieri e dal
consulente nominato dal pubblico ministero avessero indubbiamente carattere di
irripetibilità per lo stato della sostanza stupefacente e per le difficoltà delle operazioni
di recupero e di estrazione;
2.4 la violazione dell’articolo 275 cpp per l’insussistenza delle esigenze cautelari.

Ritiene anzitutto il Collegio infondati il terzo ed il secondo motivo di ricorso.
Su entrambi vi è infatti corretta risposta da parte dei giudici del riesame.
Per quanto concerne il terzo motivo essi hanno in premessa dato logicamente
contezza della non decisività della intestazione del verbale di conferimento
dell’incarico di consulenza tecnica in quanto recante l’indicazione di una serie di
articoli 359, 360, 549 c.p.p. e 117 disp. Att. cpp evidentemente tra di essi alternativi
in quanto chiaramente l’articolo 359 non può essere riferito all’accertamento tecnico
non ripetibile.
Il tribunale ha comunque correttamente escluso anche nel merito l’irripetibilità
dell’accertamento spiegando che dall’esame degli atti emerge che sono state
prelevate sui reperti tracce di materiale specificamente indicato e che vi è stata una
restituzione per eventuali ulteriori analisi di quanto non utilizzato e che in ogni caso i
carabinieri stessi hanno suggerito di disporre la distruzione di tutto lo stupefacente
stante l’avvenuta campionatura. Gli elementi indicati, in quanto fondati su precise
emergenze processuali che non possono essere contestate sul piano fattuale in questa
sede, pongono attualmente la decisione del riesame al riparo da qualsiasi censura
essendo la motivazione adeguatamente supportata in termini di logicità e correttezza
del ragionamento.
Per quanto concerne le intercettazioni sono stati sollevati, come detto in precedenza,
due distinti problemi.
Il primo concerne l’utilizzazione di impianti esterni alla Procura della Repubblica ed
il secondo al rilascio di copia dei supporti contenenti le intercettazioni ritenute
rilevanti nell’ordinanza custodiate.
In ordine al primo profilo il tribunale ha già correttamente risposto escludendo
l’esistenza di elementi nel senso propugnato dal ricorrente..
La motivazione del provvedimento impugnato correttamente fa leva, infatti, sulla
circostanza – non contestata – che la procura della Repubblica di Roma ha chiesto e
ottenuto dalla Procura della Repubblica di Velletri che la registrazione avvenisse
proprio nella memoria centralizzata (server) di tale ufficio e, pertanto, ha
correttamente ritenuto che il segnale sia stato poi deviato per l’attività di mero ascolto
presso la sala della caserma dei carabinieri di Frascati, rilevando essere tra l’altro
rimasto allo stato di mera ipotesi l’assunto della captazione esclusiva delle telefonate
presso la sala intercettazioni della caserma di Frascati.
Il che è certamente in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite.
Queste ultime hanno puntualizzato infatti che condizione necessaria per l’utilizzabilità
delle intercettazioni è che l’attività di registrazione – che, sulla base delle tecnologie
attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria
informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della Repubblica
mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali
vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione
ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite
“in remoto” presso gli uffici della polizia giudiziaria. (Sez. U, n. 36359 del
26/06/2008 Rv. 240395) .

Quanto alle espressioni utilizzate negli atti specificamente indicati dal ricorrente, esse
non assumono rilievo decisivo non potendosi escludere improprietà nel linguaggio.
Ciò che le Sezioni Unite – ed il riesame in questa occasione – hanno voluto
correttamente ribadire è che per invalidare l’attività di intercettazione non basta
affidarsi al dato letterale dei provvedimenti concernenti l’attività di intercettazione,
ma occorre la prova che la Procura non sia stata destinataria di alcun segnale e che di
conseguenza sia stata nell’impossibilità di operare alcuna forma di controllo sulla
attività di intercettazione.
E nessuna prova certa vi sarebbe secondo il tribunale di quanto affermato dal
ricorrente..
Peraltro si deve ricordare come le stesse Sezioni Unite al punto 9 della sentenza Carli
abbiano rilevato con riferimento al caso allora all’esame che il difensore
dell’imputato per ottenere la prova sul punto ben avrebbe potuto avvalersi delle
facoltà riconosciute dall’art. 268 c.p.p., comma 6, (vedi sopra, sub 7.2), anche al fine
di verificare che l’impianto presente in Procura non fosse stato utilizzato quale mero
“ripetitore”, all’esclusivo fine dell’instradamento del flusso di dati dall’operatore
telefonico a quello di polizia, senza l’inserimento e la “registrazione” degli stessi nel
server esistente nei locali della Procura: operazione, questa, illegittima, che, se
effettivamente avvenuta, avrebbe all’evidenza comportato – per quanto detto circa la
nozione di “registrazione” – la inutilizzabilità delle intercettazioni.
E tali passaggi motivazionali non possono che rilevare anche rispetto al caso di
specie.
Diversa valutazione deve essere invece operata in relazione alla questione sollevata
con il primo motivo di ricorso.
Sul punto vanno anzitutto ribaditi i principi affermati dalle Sezioni Unite con la
sentenza n. 20300 del 22/04/2010, ric. Lasala, Rv. 246908 con cui si è puntualizzato
che in tema di riesame, la richiesta del difensore volta ad accedere, prima del loro
deposito ai sensi del quarto comma dell’art. 268 cod. proc. pen., alle registrazioni di
conversazioni o comunicazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia
giudiziaria nei c.d. brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza
di custodia cautelare, determina l’obbligo per il pubblico ministero di provvedere in
tempo utile a consentire l’esercizio del diritto di difesa nel procedimento incidentale
“de libertate”, obbligo il cui inadempimento può dar luogo a responsabilità
disciplinare o penale del magistrato del P.M..
Si tratta di principi che recepiscono le motivazioni che hanno indotto la Corte
Costituzionale con la sentenza n. 368 del 2008 a dichiarare la illegittimità
costituzionale dell’art. 268 del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una
misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro
magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate
ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.
E, dunque, ha certamente ragione il difensore nel sostenere che alla richiesta di
ottenere il riversamento delle telefonate ritenute rilevanti nell’ordinanza di custodia
cautelare il pubblico ministero debba necessariamente rispondere.

E di conseguenza va pure riaffermato in questa sede il principio per cui in sede di
riesame o appello cautelare, qualora il difensore non abbia ottenuto il rilascio di copia
dei supporti informatici o magnetici delle registrazioni di conversazioni o “videoriprese” per le quali abbia avanzato rituale e tempestiva richiesta al P.M., il Tribunale
non può fondare il proprio convincimento sui cosiddetti brogliacci di ascolto utilizzati
ai fini dell’adozione di un provvedimento cautelare, ma deve annullare l’impugnata
ordinanza se, effettuata la “prova di resistenza”, l’ulteriore materiale indiziario non sia
idoneo a rappresentare i gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 cod. proc.
pen. (Sez. 6, n. 45880 del 10/10/2011 Rv. 251182).
Ciò posto il problema è evidentemente quello di verificare se vi sia stato o meno un
provvedimento sulla richiesta del PM ed, eventualmente, il tenore della risposta.
Il ricorrente sostiene di non essere a conoscenza di un provvedimento di risposta del
PM e sostiene anche che l’onus probandi sullo stesso gravante debba limitarsi a
documentare l’istanza di rilascio delle trascrizioni formulata al PM.
Cita, infatti, in proposito una decisione di questa Corte secondo cui in tema di
riesame di misure cautelari personali, quando la difesa ha assolto l’onere di
dimostrare che la richiesta di rilascio di copia dei supporti magnetici o informatici
delle registrazioni di conversazioni telefoniche o di riprese audiovisive, utilizzate per
l’adozione dell’ordinanza cautelare, è stata effettivamente e tempestivamente
presentata al P.M., sulla stessa non può ritenersi incombente l’ulteriore onere di
documentare il fatto negativo rappresentato dal mancato riscontro alla richiesta da
parte del P.M. (Sez. 6, n. 45984 del 10/10/2011 Rv. 251273).
A tale rilievo il tribunale non ha fornito in realtà una risposta adeguata.
Citando altre decisioni di questa Corte, ha evidenziato, infatti, in motivazione che
nella fattispecie non vi è alcuna previsione normativa cui riconnettere un onere di
comunicazione del provvedimento adottato da parte del PM.
In questo modo non è stato tuttavia esaminato il problema di fondo posto dalla difesa
(e che per le ragioni esposte in precedenza doveva essere necessariamente affrontato)
vale a dire, cioè, se ed in quali termini il PM abbia effettivamente risposto sulla
richiesta di trasposizione su supporto magnetico delle intercettazioni.
Peraltro proprio i margini di incertezza che possono essere riconnessi alla mancanza
di disposizioni specifiche sulla comunicazione del provvedimento e sulle eventuali
forme di essa, rende necessario che il tribunale, ove la l’indagato abbia documentato
la presentazione della richiesta, si attivi per .verificare i termini della risposta del PM
ove sussistano dubbi al riguardo.
La ordinanza va pertanto annullata con rinvio limitatamente al punto esposto e,
conseguentemente non si rende possibile ora procedere all’esame del quarto ed
ultimo motivo.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Roma.
Roma, 22.11.2012
Il Presidente

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