Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29626 del 20/04/2016
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29626 Anno 2016
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
K.K.
R.B.
n. 10/11/1963
n. 04/11/1968
avverso la sentenza n. 3108/2014 della CORrE APPELLO di SALERNO in
data 28/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
udito il Procuratore Generale, in persona del doti Mario PINELLI che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi e in subordine il rigetto;
uditi l’Avv. Domenico Atnodeo del foro di Lagonegro per R.B., il quale nel riportarsi ai motivi ne ha chiesto l’accoglimento e l’Avv.
Michele Pinto del foro di Salerno per K.K., il quale ha insistito
nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
Data Udienza: 20/04/2016
Ritenuto in fatto
1.
La Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Sala
Consilina, appellata dagli imputati K.K. e R.B., con la quale i predetti erano
stati condannati per il reato di omicidio colposo, nelle rispettive qualità.
2. La vicenda riguarda il decesso del lavoratore X.S., in occasione di un
incidente sul lavoro avvenuto mentre l’uomo stava eseguendo la saldatura di una ringhiera di un
terrazzo posto al primo piano di un edificio scolastico, interessato da complessivi lavori di
s.r.I., società legalmente rappresentata da R.B., che – a propria volta – aveva
subappaltato i lavori di montaggio e saldatura delle ringhiere alla ditta artigianale di K.K.
Nicola. Era stato accertato che il X.S. era caduto da un’altezza di 3 metri e 90 centimetri
dal piano di calpestio, procurandosi un grave trauma contusivo alla regione temporo parietale
destra, con frattura del tavolato osseo ed emorragia cerebrale profonda (fatto accaduto in San
Rufo il 25/11/2006).
In particolare, si è rimproverato agli imputati di avere consentito al X.S. di procedere
alla saldatura di una ringhiera posta al primo piano e a circa 4 metri dal suolo, in assenza di
ponteggio fisso o mobile, o – in alternativa – in assenza dell’imbracatura di sicurezza, e di non
avere impedito la sua caduta al suolo e la conseguente morte all’istante per gravissimo trauma
cranico. La condotta è stata contestata a titolo di colpa generica, dovuta a negligenza,
imprudenza, imperizia, e specifica, per mancata osservanza della normativa in tema di
prevenzione infortuni sul lavoro [art. 16 d.P.R. 494/96 che impone per i lavori in altezza superiore
a due metri al datore di lavoro diretto e al responsabile di cantiere, l’adozione delle opere
provvisionali o comunque precauzionali atte ad eliminare i pericoli di caduta; art. 7 lett. a) d.lgs.
626/94 che impone in tema di subappalto al datore di lavoro diretto e al responsabile di cantiere
la cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro].
3. L’imputato K.K. ha proposto ricorso a mezzo di difensore, con il quale ha
censurato sia l’ordinanza ex art. 603 del codice di rito adottata dalla Corte d’appello di Salerno in
data 28/11/2014, che la sentenza.
Quanto alla prima, ha dedotto violazione di legge, esponendo le circostanze che
avrebbero dovuto imporre la nuova audizione del teste VIVONE e l’audizione degli altri testi
indicati, non avendo il giudice d’appello neppure esposto nell’ordinanza parzialmente reiettiva le
ragioni della propria decisione.
Quanto alla sentenza, ha formulato cinque distinti motivi:
– con il primo, ha dedotto vizio motivazionale, nella parte in cui il giudice d’appello ha
ritenuto di non accogliere integralmente la richiesta difensiva, limitandosi ad acquisire le
fotografie prodotte e la memoria-istanza difensiva, trascurando l’importanza della prova offerta e
ritenendo che essa non fosse sopravvenuta alla sentenza di primo grado, trattandosi di elementi
intesi ad avvalorare l’assunto secondo cui fu il lavoratore ad omettere di indossare le
strumentazioni di sicurezza debitamente fornite dal datore di lavoro; sotto altro profilo, con
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manutenzione straordinaria e miglioramento statico. I lavori erano stati appaltati alla COS.MAR.
• specifico riferimento al tema parallelo della constatata assenza del ponteggio, si è rilevato che il
suo allestimento regolare era stato verificato dallo K.K. e dai suoi dipendenti prima dell’inizio
dei lavori e utilizzato sino al giorno precedente quello del sinistro, essendo stato rimosso dagli
operai della ditta R.B. senza alcuna motivazione, e soprattutto senza rendere edotti lo
K.K. e i suoi operai;
– con il secondo, ha dedotto violazione di legge, con riferimento all’individuazione degli
obblighi gravanti sul datore di lavoro, avuto riguardo alla specificità dell’opera da eseguirsi da
parte della ditta K.K. (saldatura di ringhiera da effettuarsi dal piano di calpestio e non in
quota, con erronea evocazione, quindi, dell’art. 16 del dligs. 626/94), rilevandosi che
individuali (nel caso di specie imbracatura);
– con il terzo motivo, ha dedotto vizio motivazionale con riferimento al punto concernente
il comportamento tenuto dalla vittima nell’occorso;
– con il quarto motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale con
riferimento al trattamento sanzionatorio, da una parte censurando il rigetto della richiesta di
riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno, integralmente satisfattorio ed
effettuato nel corso del giudizio di primo grado; dall’altra, la quantificazione concreta della pena,
invocata subordinatamente nel minimo edittale, tenuto conto della incensuratezza dell’imputato e
del quadruplice concorso di colpa (quello cioè della vittima, del R.B., del coordinatore dei
servizi di sicurezza e del direttore dei lavori);
– con il quinto motivo, infine, ha dedotto vizio motivazionale nella parte in cui il giudice
del gravame, sempre in punto dosimetria della pena, non avrebbe tenuto in conto che la gravità
del fatto, cui ha agganciato la sua decisione, va valutata anche alla luce del grado di colpa e
dell’apporto recato al verificarsi dell’evento dalla vittima, non avendo specificamente motivato
inoltre sulla richiesta di conversione della pena in quella equivalente pecuniaria.
4. L’imputato R.B. ha proposto ricorso a mezzo di proprio difensore, formulando un
motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge con riferimento all’art. 7 del d.lgs.
626/94, vizio motivazionale e travisamento della prova, con riferimento all’adempimento
dell’obbligo di verifica, da parte dell’appaltante/datore di lavoro, della idoneità tecnico
professionale della impresa subappaltatrice, contestando altresì l’applicabilità dell’art. 7 comma 2
lett. B) d.lgs. 626/94, non essendovi stata più alcuna interferenza al momento dell’incidente, per
avere la ditta R.B. esaurito la propria lavorazione e osservando che la regola generale di
cooperazione contiene una deroga (art. 7 comma 3) per il caso di rischi specifici che resterebbero
a carico esclusivo del sub-appaltatore.
Con successiva memoria, depositata in data 04/04/2016, la difesa dell’imputato R.B.
ha formulato due ulteriori motivi:
– con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale della sentenza nella
parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto di rigettare la richiesta di riapertura dell’istruttoria
dibattimentale, motivata dalla necessità di dar prova contraria alla ritenuta circostanza della
chiusura dei lavori da parte del responsabile COS.MAR., con conseguente smontaggio dei
ponteggi;
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l’installazione di ponteggi per lavori in quota è alternativa rispetto alla fornitura di dispositivi
– con il secondo, ha dedotto analoghi vizi, con riferimento al ritenuto rischio
interferenziale, contestando che, nel caso di specie, possa applicarsi la norma di cui all’art. 7
citato, avuto riguardo anche alla semplicità dei lavori commissonati alla ditta K.K., per i quali
erano sufficienti i mezzi di sicurezza individuali indicati nel POS (che ha allegato in copia),
trattandosi di lavori espletabili anche non contemporaneamente, rispetto a quelli facenti capo alla
COS.MAR., sicché l’interferenza tra le due imprese non era necessaria, ma solo eventuale.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Il giudice dell’appello ha condiviso e fatto propria la ricostruzione fattuale operata nella
processualmente certe, quali l’assenza di opere provvisionali di protezione verso il vuoto
(ponteggi ovvero impalcature), nonostante si trattasse di attività che doveva essere
svolta ad altezza superiore ai 2 metri; la circostanza che la vittima non indossasse alcun
dispositivo di protezione individuale ( cintura di sicurezza e casco), nonostante il POS depositato
dalla COS.MAR. prevedesse per le lavorazioni comportanti il rischio di caduta di persona la
predisposizione di ponteggi e l’applicazione di parapetti e il POS della ditta dello K.K.
prevedesse, per la posa in opera e il montaggio delle ringhiere, l’utilizzo dell’imbracatura di
sicurezza, specie qualora si fosse accertata l’assenza di mezzi di protezione collettiva
(sostanzialmente i ponteggi).
2.1. A specifica confutazione dei motivi di appello formulati dal R.B., quel giudice ha
osservato che la responsabilità di costui non fosse esclusa dal subappalto di parte dell’opera ad
altra ditta, poiché, in caso di lavori affidati in appalto, la ditta appaltante o subappaltante deve
fornire le informazioni necessarie sui rischi specifici e sulle misure da essa stessa adottate in
relazione all’attività da svolgere, ed entrambe le ditte devono cooperare all’attuazione delle
misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all’esecuzione dell’opera appaltata,
richiamando la norma generale del d.lgs. n. 626 del 1994, art. 7, applicabile anche ai cantieri
edili, in quanto non derogata da specifiche disposizioni del d .Igs. n. 494 del 1996, in forza
della quale vi è un obbligo generale di collaborazione antinfortunistica tra subappaltante e
subappaltatore, che esclude – in quanto tale – la possibilità che il primo si liberi della sua
responsabilità prevenzionale quando affida al secondo l’esecuzione dei lavori che gli sono stati
appaltati, o di parte di essi.
Quanto, poi, al rischio interferenziale, la Corte d’appello ha rilevato che,
proprio nel momento in cui vi era stata la reale interferenza tra le rispettive lavorazioni, il
ponteggio era stato rimosso dalla ditta del R.B., in assenza della ditta dello K.K.
(che addirittura assumeva di avere ignorato la circostanza), ritenendo altresì smentito
dalla documentazione fotografica l’assunto difensivo secondo cui, al momento dell’infortunio
mortale, la prima aveva già finito l’esecuzione della propria parte dell’opera.
Infine, con riferimento alle misure di salvaguardia, la Corte territoriale ha ritenuto del
tutto irrilevante l’affidamento fatto sull’utilizzo, da parte degli operai dello K.K., dell’elmetto
e delle imbracature di sicurezza, come stabilito dal POS, per il caso di assenza di adeguati
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sentenza di primo grado, sulla scorta delle risultanze probatorie, richiamando circostanze
ponteggi, richiamando a tale ultimo proposito la normativa vigente all’epoca dei fatti e i principi
formulati in materia da questa Corte.
2.2. Quanto all’imputato K.K., la Corte ha acquisito la documentazione
fotografica depositata con la memoria del 23.10.2012, ritenendo che la richiesta di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale riguardasse una circostanza (la messa a disposizione da parte di
K.K. delle imbracature e del casco protettivo, a prescindere dalla presenza o meno
sul posto del camioncino della ditta K.K.), che aveva già costituito oggetto
dell’istruttoria, attraverso l’esame del teste D’Amico Massimiliano, riconducendo la
richiesta di rinnovazione formulata dall’appellante all’ipotesi di prove preesistenti o concomitanti
delle quali il giudice d’appello deve disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo se
ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.
Tale decisività è stata esclusa, nella specie, per la semplice ragione che la circostanza della
messa a disposizione dei DD.PP.II. da parte di K.K. non ne escludeva la
responsabilità per il fatto in contestazione.
Ed infatti, anche per lo K.K. quel giudice ha richiamato le considerazioni svolte
con riferimento alla posizione dell’imputato R.B., quanto all’evidente difetto
di coordinamento tra le due imprese coinvolte nei lavori, che ha portato – proprio nel
momento di effettiva interferenza – l’uno ad ignorare che l’altro aveva rimosso il ponteggio, e
all’indebita preferenza accordata all’imbracatura rispetto alla scelta, ritenuta dalla legge
assolutamente preminente, dell’allestimento del ponteggio, ancora una volta richiamando i
principi di elaborazione giurisprudenziale.
Infine, quanto al comportamento del lavoratore deceduto (con particolare riguardo
alla mancata utilizzazione delle imbracature di sicurezza disponibili), la Corte di
merito ha ritenuto corretta, sul piano logico-giuridico, l’affermazione del Tribunale
secondo cui il comportamento imprudente del lavoratore deceduto non aveva spiegato alcuna
efficacia interruttiva del nesso causale tra le gravi omissioni contestate agli odierni imputati e
l’evento mortale agli stessi ascritto, non potendosi esso ritenere abnorme, tale
cioè da incidere in termini giuridicamente rilevanti sullo sviluppo del rapporto
condizionalistico tra le condotte omissive contestate e l’evento, trattandosi di comportamento
rientrante nell’ambito del segmento lavorativo attribuito al Rinaldi e del tutto privo dei
caratteri della stranezza e dell’assoluta imprevedibilità.
La Corte ha poi ritenuto infondato il rilievo concernente l’attenuante di cui all’art. 62 c.p.,
n. 6, rilevando che pacificamente il risarcimento era avvenuto dopo l’apertura del dibattimento
all’udienza del 15.10.2008, prevededo invece l’art. 62 n. 6 c.p. che l’integrale risarcimento del danno
intervenga “prima del giudizio”.
Ha quindi motivato in ordine alla dosimetria della pena, rigettando anche l’ultimo motivo di
gravame, per le stesse considerazioni fondate sulla valutazione degli elementi di cui all’art. 133
c.p., tra cui la gravità del fatto colposo ascritto all’imputato.
3. A fronte di tale apparato motivazionale, la difesa dell’imputato R.B., con le sue
censure, ha opposto al ragionamento del giudice d’appello l’assunto secondo cui per il
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al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o fenomenico, a fronte
committente/datore di lavoro sarebbe sufficiente, ai fini della verifica dell’idoneità tecnica e
professionale dell’impresa subappaltatrice, il controllo circa la regolare iscrizione di essa alla
Camera di commercio industria e artigianato (art. 7 lett. a), avendo il R.B. fornito tutte le
informazioni sui rischi specifici attraverso la consegna ed il deposito dei grafici progettuali e del
piano di sicurezza e coordinamento allegato al progetto dell’ing. Felice R.B., rispetto al quale
l’impresa K.K. aveva poi presentato il suo POS che prevedeva espressamente l’utilizzo delle
imbracature e dell’elemetto di protezione per lavori sui ponteggi.
Quanto poi al rischio interferenziale, ha contestato che il coordinamento tra le imprese
fosse stato solo formale, atteso che, proprio nel momento in cui c’era stata la reale interferenza
applicabile, nel caso di specie, l’art. 7 comma 2 lett. b), non configurandosi alcuna effettiva
interferenza tra le lavorazioni delle due imprese, avendo l’impresa R.B. già terminato la
propria parte di lavori.
Sul punto, la parte ha osservato che il giudice di primo grado non aveva escluso il
fondamento giuridico dell’assunto difensivo circa la non interferenza tra le due lavorazioni, ma
ritenuto non provata la circostanza che effettivamente l’impresa R.B. avesse terminato la sua
parte di lavori, essendo emerso da un fotogramma (riproducente lo stato dei luoghi al momento
dell’incidente) che non era stata ultimata la tinteggiatura esterna dell’edificio, rilevando, a tal
proposito che il contratto d’appalto prevedeva che i lavori di tinteggiatura commissionati dall’ente
appaltante riguardavano solo il nuovo telaio in cemento armato (pilastri e travi di collegamento),
ma non anche la facciata dell’edificio.
Ha poi contestato la decisione nella parte relativa alla richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, esponendo che la parte aveva richiesto di procedere alla escussione
del responsabile del Comune per la sicurezza del cantiere e disporsi la acquisizione del contratto
d’appalto (capitolato generale, capitolato speciale, elaborati grafici ed elenco prezzi unitari) tra la
COS.MAR e il Comune di San Rufo, a dimostrazione che i lavori erano già finiti al momento
dell’incidente, atteso che le opere incomplete evidenziate dal Tribunale non rientrerebbero nel
contratto d’appalto, ciò con riferimento alla ritenuta illegittima rimozione dei ponteggi per non
avere la ditta R.B. ancora esaurito la propria lavorazione e per essere quindi ancora
sussistente il rischio interferenziale. Al contrario, la parte ha dedotto che nel caso di specie detta
interferenza era cessata e la ditta K.K. era tenuta unicamente ad utilizzare i dispositivi di
sicurezza individuale, come risulta dal POS di quell’impresa.
4. La difesa dello K.K. ha opposto al ragionamento del giudice del gravame la
presunta incompletezza della istruzione svolta, poiché, dopo il deposito della sentenza di primo
grado, la difesa aveva provveduto ad interpellare uno dei testi escussi, il testimone M.Ilo VIVONE,
il quale aveva confermato di avere effettuato dei rilievi fotografici, consegnandone copia ad un
legale presente. Cosicché la richiesta della difesa era intesa a far acquisire, mediante la
rinnovazione dell’istruttoria, tale circostanza al processo, con nuova escussione del VIVONE e con
l’audizione del legale cui le foto erano state consegnate e del sindaco del Comune di San Rufo,
proprietario della scuola interessata dai lavori edili di che si tratta.
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tra le rispettive lavorazioni, era emerso che il ponteggio era stato rimosso, non essendo neppure
Ha contestato la natura di prove sopravvenute, rilevando che non può addebitarsi al
datore di lavoro che si avvalga di un proprio collaboratore, al quale abbia dato le dovute
preventive indicazioni operative sul posto di lavoro e consegnato le dovute strumentazioni di
sicurezza, anche l’onere di verificare quotidianamente e costantemente l’utilizzo di esse,
traducendosi tale onere in una insostenibile responsabilità oggettiva del datore di lavoro.
Quanto al comportamento della vittima, la parte ha censurato la valutazione condotta sul
punto dalla Corte di merito, rilevando che la condotta imprudente del X.S. era stata
dimostrata anche dalla circostanza che la ringhiera poteva essere saldata dal piano di calpestio e
dalla testimonianza del D’AMICO, dipendente dello K.K., anch’egli presente sul cantiere il
inutilmente ripiegato sulla ringhiera che stava posizionando, il che configurerebbe un
comportamento abnorme del lavoratore che si pone fuori dalla sfera di controllo da parte delle
persone preposte all’applicazione delle misure di salvaguardia a tutela della incolumità sui luoghi
di lavoro.
5. Una premessa s’impone, alla luce del tenore dei motivi formulati nei ricorsi.
E’ del tutto evidente come le parti abbiano sostanzialmente riproposto in sede di legittimità
le doglianze fondanti il gravame, alle quali la Corte di merito ha dato tuttavia una puntuale
risposta, attraverso il legittimo rinvio alla sentenza di primo grado (soprattutto per quanto
riguarda il compendio probatorio utilizzato), sostenuto peraltro da un vaglio critico, filtrato
attraverso i motivi d’appello, pervenendo alle conclusioni rassegnate solo all’esito di un articolato,
quanto completo, logico e non contraddittorio percorso argomentativo.
Ciò rende i singoli motivi manifestamente infondati, atteso che, per il loro tramite, le parti
hanno prospettato una inammissibile rivisitazione della valutazione delle prove e sollecitato un
sindacato di merito, del tutto estraneo alla natura del controllo di legittimità.
5.1. Del tutto corretta è la ricostruzione della posizione di garanzia del R.B.
(committente/datore di lavoro), in relazione al subappalto dei lavori alla ditta K.K.: sul punto,
pare sufficiente un rinvio alla giurisprudenza consolidata di questa Corte per affermare che, in
tema di prevenzione degli infortuni, l’appaltatore che proceda a subappaltare l’esecuzione delle
opere non perde automaticamente la qualifica di datore di lavoro, neppure se
il subappalto riguardi formalmente la totalità dei lavori, ma continua ad essere responsabile del
rispetto della normativa antinfortunistica, qualora eserciti una continua ingerenza nella
prosecuzione dei lavori, essendo titolare dei poteri direttivi generali concernenti quel cantiere
(Sez. 3 n. 50996 del 24/10/2013, Rv. 258299; sez. 4 n. 32943 del 27/05/2004, Rv. 229084; n.
5977 del 15/12/2005, Rv. 233245; n. 21471 del 20/04/2006, Rv. 234149; n. 42477 del
16/07/2009, Rv. 245786).
Parimenti congrua è la ricostruzione del rischio interferenziale operata in sentenza, tenuto
conto che, in tema di infortuni sul lavoro, la predisposizione da parte del datore di lavoro
committente di misure di prevenzione finalizzate a gestire il rischio interferenziale, che ha origine
per il coinvolgimento nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non esclude la
necessità di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici a meno che queste non
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giorno dell’incidente, il quale aveva constatato che il X.S. si era del tutto inopinatamente ed
risultino inefficaci e dannose ai fini della sicurezza dell’ambiente di lavoro (cfr. Sez. 4 n. 180200
del 07/01/2016, Rv. 266640).
La contestazione circa l’esistenza di un effettivo coordinamento tra le due imprese è stata
esaminata dalla Corte d’appello sulla scorta delle risultanze probatorie, addirittura attestanti la
mancata comunicazione tra una ditta e l’altra dell’avvenuta rimozione dei ponteggi, necessari per
eseguire l’opera di posizionamento delle ringhiere in sicurezza, essendo rimasto smentito anche
l’assunto secondo cui, al momento del posizionamento delle ringhiere, la ditta R.B. avrebbe
ultimato la sua parte di lavori. Sul punto, la Corte territoriale ha fornito esaustiva risposta, anche
sotto il profilo della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, cosicchè la
merito operata dalla Corte territoriale, preclusa a questo giudice, in presenza di una motivazione
che, come già sopra precisato, è esente dai vizi denunciati.
5.2. Anche i motivi fondanti il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato K.K. sono
manifestamente infondati.
Quanto alla dedotta incompletezza della istruttoria dibattimentale, la risposta della Corte
di merito è del tutto coerente con la ratio della disposizione di cui all’art. 603 codice di rito, tenuto
conto della natura della prova dedotta e del giudizio di non decisività di essa, doverosamente
quanto congruamente svolto dal giudice del gravame, anche alla luce degli elementi di prova già
assunti. Di una tale motivazione la parte sembra non aver tenuto conto, avendo riproposto la
doglianza senza alcun previo confronto con le ragioni analiticamente esposte nella sentenza
impugnata.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato: la Corte di merito ha
correttamente individuato gli obblighi gravanti sul datore di lavoro, proprio avuto riguardo alla
specificità dell’opera da eseguirsi, l’istruttoria avendo pure dimostrato che la saldatura della
ringhiera comportava per il lavoratore la necessità di sporgersi nel vuoto (cfr. pag. 4 il rinvio alla
testimonianza D’Amico) e tenuto conto del comprovato difetto di coordinamento tra la due ditte,
sul quale si è detto a proposito della posizione del R.B.. La parte, nel riproporre le doglianze
già formulate in appello, denuncia un mancato effettivo confronto con le ragioni che sostengono
la decisione che, scevre dai vizi denunciati, restano sottratte al sindacato di legittimità.
Quanto alla dedotta abnormità del comportamento del lavoratore, l’argomento è stato
ampiamente e del tutto congruamente affrontato dalla Corte di merito e, ancora una volta, le
censure articolate con il ricorso non evidenziano vizi del ragionamento svolto da quel giudice, ma
ripropongono inammissibilmente una diversa interpretazione del compendio probatorio, che
costituisce oggetto proprio del sindacato di merito.
Sul punto, pare peraltro sufficiente un richiamo alla giurisprudenza consolidata di
questa Corte per rilevare che la decisione del giudice di merito è del tutto coerente con i
principi da essa ricavabili, atteso che l’obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che
derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell’infortunato, essendo esclusa la
responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo, solo in presenza
di comportamenti che presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza
rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune
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riproposizione della doglianza in questa sede si traduce in una contestazione della valutazione di
prudenza. Ed è significativo che, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato
dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga
attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento,
quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele
che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento
[Sez. 4 n. 3787 del 17/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015), Rv. 261946; n. 22249 del
14/03/2014, Rv. 259227].
Infine, la sentenza è congruamente motivata sia con riferimento al diniego
dell’attenuante dell’integrale risarcimento del danno, prevista dall’art. 62 n. 6 cod. pen.,
anche più di recente – ha ribadito che, ai fini del suo riconoscimento, il risarcimento deve
intervenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (cfr. Sez. 3 n.
17864 del 23/01/2014, Rv. 261498); che avuto riguardo alla dosimetria della pena e
all’esercizio del potere discrezionale del giudice nella sostituzione della pena detentiva, rispetto
ai quali il giudice d’appello ha richiamato il criterio seguito (gravità del fatto colposo) e
sottolineato la prossimità al minimo edittale della pena inflitta.
6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno a quello della somma di C 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 20 aprile 2016
avendo il giudice d’appello opportunamente rinviato alla giurisprudenza di questa Corte che –