Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8289 del 01/12/2015
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8289 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: ZAZA CARLO
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Bevilacqua Vincenzo, nato a Caivano il 04/03/1965
avverso la sentenza del 25/02/2014 della Corte d’Appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore g enerale Lui g i
Orsi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori, avv.ti Giancarlo De Marco e Giovanni Aricò, che hanno concluso
per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata veniva rigettata l’istanza di revisione della
sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Salerno del 18/07/2012, con la q uale
era confermata l’affermazione di responsabilità di Vincenzo Bevilac q ua per il
1
Data Udienza: 01/12/2015
reato continuato di cui agli artt. 575, 605, 412 cod. pen. e 12 legge 14 ottobre
1974, n. 497, commesso in Rionero in Vulture il 28/05/1999, all’esito di una lite
con Domenico D’Alfonso, sottraendo a quest’ultimo una pistola, costringendolo a
salire su un’autovettura, cagionandone la morte con l’esplosione di colpi d’arma
da fuoco e gettandone il cadavere in una scarpata; la pena era determinata in
anni diciotto di reclusione con conferma della condanna dell’imputato al
risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Il condannato ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale; le
all’aver il predetto teste riferito di aver egli portato via la pistola del D’Alfonso
mentre il Bevilacqua si allontanava dal luogo della lite, sarebbero state
illogicamente ritenute inattendibili in base a contraddizioni relative a meri
elementi di contorno; non sarebbe stato valutato il riscontro di dette
dichiarazioni in quelle del cognato Salvatore Pesce, il quale riferiva che all’epoca
il Marino tornava a casa portando con sé una pistola; illogica sarebbe altresì la
valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni del collaboratore D’Amato
acquisite nel corso del giudizio di revisione, per le quali lo stesso aveva appreso
da Massimo Cassotta che questi e Domenico Prota avevano ucciso il D’Alfonso
per il mancato pagamento di una partita di stupefacente, in quanto fondata
sull’assenza di dette informazioni dall’ambito di quelle incluse nel verbale
illustrativo della collaborazione e rese entro il termine di centottanta giorni
dall’inizio della stessa, circostanze che non comportano inutilizzabílità delle
dichiarazioni, e sul carattere indiretto delle conoscenze del collaboratore,
nonostante queste ultime provenissero da uno degli esecutori materiali del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Le censure del ricorrente sul giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del
Marino si riducono a valutazioni di merito non proponibili in questa sede, in
quanto alternative a quelle esposte nella sentenza impugnata sulle intrinseche
incongruenze di dette dichiarazioni con riguardo alle circostanze nelle quali il
Marino avrebbe appreso dell’identità della persona offesa, alle ragioni per le quali
lo stesso si sarebbe disfatto della pistola, alle modalità con le quali ciò sarebbe
avvenuto ed alla conversazione con il Bevilacqua, e sulle contraddizioni di tali
dichiarazioni con quelle di Michelina Santeramo, convivente del Bevilacqua, e
degli altri testi Angela Bevilacqua e Salvatore Pesce. Generica è la doglianza di
omessa considerazione delle dichiarazioni di quest’ultimo quale riscontro al
dichiarazioni di Gianfranco Marino, prova nuova indicata dalla difesa con riguardo
narrato del Marino, che trascura quanto invece osservato dalla Corte territoriale
sul contrasto fra tali contributi dichiarativi. La denuncia di illegittimità del
richiamo al superamento del termine di centottanta giorni dall’inizio della
collaborazione, con riguardo alle dichiarazioni del D’Amato, è manifestamente
infondata nel momento in cui il dato veniva valutato nella sentenza impugnata
non quale ragione di inutilizzabilità di dette dichiarazioni, ma come elemento
indicativo di inattendibilità delle stesse, in quanto collegato ala circostanza per la
quale, nelle audizioni svolte entro il termine, il collaboratore aveva invece riferito
questo punto la critica all’argomento del carattere indiretto delle conoscenze
esposte dal D’Amato nelle ultime dichiarazioni, ove non considera la valutazione
unitaria di tale aspetto con quello della tardività delle dichiarazioni stesse, ai fini
del complessivo giudizio di inaffidabilità del racconto del collaboratore.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare
equo determinare in € 1.000.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 01/12/2015
di non conoscere la causale dell’omicidio del D’Alfonso; mentre generica è a