Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2589 del 14/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2589 Anno 2016
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRITTO ANTONINO N. IL 23/06/1975
avverso l’ordinanza n. 96/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
07/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO BELLINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.nc,
O3-9, p. ut-o, fQ c tout

ee

£.

Uditi difeor Avv.;

e d e,61.

Data Udienza: 14/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Palermo con ordinanza del 7 Maggio 2014 respingeva
la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione tempestivamente avanzata
dall’odierno ricorrente Gritto Antonino in relazione alla detenzione carceraria
in stato di custodia cautelare sofferta dal 12 Maggio 2009 al 15.7.2011 (con

pena) cui erano contestati due episodi di estorsione tentata in concorso con
l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/1991, contestazioni dalle quali era
stato definitivamente assolto dal Tribunale di Palermo con sentenza del
15.7.2011 con la formula “per non avere commesso il fatto”.
2. La Corte territoriale ravvisava ipotesi di esclusione del diritto alla riparazione
ai sensi dell’art.314 I comma c.p.p. assumendo che il Gritto aveva concorso
a determinare la adozione della misura con condotta extra processuale e
processuale improntata a colpa grave in ragione del fatto di essersi
accompagnato al materiale esecutore del reato ad esso ascritto, Maniscalco
Emanuele successivamente reo confesso delle estorsioni tentate,
accompagnandolo sui luoghi ove erano state poste in essere le condotte
estorsive, dove era riconosciuto da una delle persone offese come l’uomo
che attendeva fuori del negozio mentre il Maniscalco poneva in essere i
comportamenti illeciti; secondo la Corte il Gritto aveva agito con leggerezza
e imprudenza in quanto doveva sapere, visti i rapporti personali e familiari
con il Maniscalco (i due si accompagnavano a due sorelle) che questi era
gravato di precedenti penali ed era stato in carcere, così come lo stesso
Gritto aveva precedenti penali anche recenti; rappresentava ancora che le
dichiarazioni rese dal Gritto dapprima in sede di indagini e successivamente
nel corso del dibattimento presentavano delle contraddizioni rispetto a quelle
rese dal Maniscalco, così da rendere verosimile il tentativo del ricorrente di
agevolare, se non di non ledere la posizione del compagno.
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del
proprio difensore e procuratore speciale Gritto Antonino deducendo
violazione dell’art.314 c.p.p. in relazione

all’art.606 lett.b), c) ed

e)

assumendo che risultava viziato il provvedimento della Corte territoriale nel
ritenere il Gritto in colpa grave, laddove lo stesso non solo non aveva
prestato alcun tipo di collaborazione volontaria al Maniscalco nella
perpetrazione dei reati, ma una volto sottoposto alla misura cautelare aveva
immediatamente rappresentato i suoi rapporti con il Maniscalco e le ragioni
per cui lo aveva accompagnato con la propria autovettura nei luoghi ove

esclusione del periodo 22.7.2010 – 21.1.2011 fungibile per esecuzione di

venivano perpetrati i reati, senza prendere parte a nessuna iniziativa
antidoverosa ma limitandosi ad attendere il suo ritorno da non meglio
specificate incombenze che il Manscalco gli aveva comunicato di dovere
svolgere; assumeva ancora che illogica e contraddittoria era la motivazione
della Corte di Appello nel ritenere che tale comportamento potesse avere
concorso al’adozione della misura e del tutto congetturali gli altri elementi
assunti dall’ordinanza a riscontro della conclusione assunta, quali i

aggiravano tra i negozi, dal momento che nessuna immagine si riferiva ai
locali ove erano state perpetrati gli atti di estorsione e soprattutto dovevano
ritenersi apodittici gli apprezzamenti espressi dal giudice della riparazione
sulla ritenuta conoscenza dei precedenti penali dell’amico, indotti dal fatto
che lo stesso Gritto era gravato da precedenti penali recenti, sulla equivoca
mancanza di sospetti del Gritto sul comportamento insolito del Maniscalco
che entrava nei negozi senza fare acquisti oltre al fatto che non appariva
verosimile che il Maniscalco improvvisasse una estorsione senza alcun tipo di
organizzazione. Chiedeva l’annullamento della ordinanza.
4. Nel costituirsi in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello stato il Ministero
della Economia e delle Finanze chiedeva disporsi la conferma della ordinanza
di rigetto della pretesa riparatoria assumendo che la Corte di Appello di
Palermo aveva motivato in maniera coerente e logica gli elementi da cui
aveva desunto un profilo di colpa grave in capo al Gritto, valorizzando le
condotte tenute dal ricorrente prima della adozione della cautela e
spiegando come tali elementi avessero operato in maniera sínergica
sull’intervento in termini cautelari preventivi da parte dell’autorità
giudiziaria.
5. Il procuratore Generale chiedeva il rigetto del ricorso ponendo in luce tutte le
ambiguità e le contraddizioni palesate dal comportamento tenuto dal Gritto
sia in sede processuale sia prima dell’adozione della misura cautelare.
6. La difesa del Gritto depositava motivi nuovi entro i termini alla stessa
assegnati in cui sviluppava le critiche mosse in ricorso avverso l’ordinanza
della Corte di Appello di Palermo soffermandosi a contraddire i singoli punti
motivazionali che avevano evidenziato gli elementi di colpa impeditivi del
diritto alla riparazione e successivamente in data 4.12.2015 depositava
memoria di replica alle conclusioni assunte dalla parte pubblica e dal P.G..

RITENUTO IN DIRITTO

fotogrammi delle telecamere che avevano ripreso i due uomini mentre si

1. Va premesso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte
Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la
cognizione del giudice di legittimità deve intendersi limitata alla sola
legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della
congruità e logicità della motivazione, e non può investire naturalmente il
merito. Ciò ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 646 secondo
capoverso cod. proc. pen., da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto

semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli
interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale
rimedio rimane contenuto nel perimetro tracciato dai motivi di ricorso
enunciati dall’art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste
(cfr. ex multis, sez. 4, n. 542 del 21.4.1994, Bollato, rv. 198097, che,
affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso
ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva
violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza
di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte). L’art. 314 cod.
pen., com’è noto, prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con
sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commeso il
fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come
reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita,
qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
2. In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta
causa innpeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere
l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al
mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte,
cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria
al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal
giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto
questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004). In
proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in
tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve
intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza
del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen.
– non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e
rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una
prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui
esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’
“id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente
CAJA-

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nel terzo comma dell’articolo 315 cod. proc. pen. L’art. 646 c.p.p. stabilisce

accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso
intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente
ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995 dep. il 9.2.1996,
Sarnataro ed altri, rv. 203637) . Poiché inoltre, la nozione di colpa è data
dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen.,
quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente,

regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non
voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale
o nella mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008,
Maisano, rv. 242034). Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il
giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al
riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione,
consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave
dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente
che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al
momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo
carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27.5.2010, D’Ambrosio, rv. 247664). E,
ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare
ulteriormente che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del
riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un
“errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia
“strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata
della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in
tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in
quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una
condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo
verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria,
dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base dell’istituto. (così Sez.
Unite, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia, rv. 257606). ‘E stato ancora
affermato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta
gravemente colposa, per essere ostativa al riconoscimento dell’indennizzo,
deve essere potenzialmente idonea ad indurre in errore l’autorità giudiziaria
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità con specifico riguardo al
reato che ha fondato il vincolo cautelare (sez.IV, 23.4.2015 n.33830);

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macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi,

3. Orbene nel provvedimento impugnato la Corte di Appello di Palermo non
appare rispondere alla tensione logico giuridica richiesta laddove pur
richiamando genericamente il quadro indiziario prospettato dal giudice della
cautela non fornisce una adeguata spiegazione delle ragioni per cui ha
ravvisato profili di colpa grave nel fatto che il Gritto avesse la
consapevolezza, al momento della adozione della misura, dei precedenti
penali del Maniscalco ovvero che lo stesso fosse consapevole, se non adesivo

infatti che la frequentazione di soggetti dediti al reato in contesti temporali e
ambientali compatibili con la compartecipazione alla commissione del reato
onera l’interessato di fornire con assoluta tempestività i chiarimenti
discolpanti (sez.IV, 29.1.2014 n.21575 Antognetti), è anche vero che il
giudice della riparazione non ha evidenziato da quali fonti abbia tratto la
conoscenza tradotta in affermazione, anche se non in termini di certezza,
che il Gritto si fosse accompagnato al Maniscalco conoscendo i suoi trascorsi
delinquenziali per reati quali la rapina, laddove nessuna valenza presuntiva
può essere attribuita ai dati, pure valorizzati dal giudice della riparazione,
della esistenza di legami familiari tra i due indagati, i quali non risultano in
alcun modo dimostrati dagli atti di causa mentre è risultato che i due si
conoscessero in quanto si accompagnavano a due sorelle, e alla circostanza
che anche il Gritto fosse pregiudicato anche per fatti recenti, elemento
questo certamente evanescente e di irrilevante portata indiziante qualora si
voglia tradurlo in una sorta di colleganza criminale. D’altro canto il Gritto ha
fornito nella immediatezza della cattura ampie giustificazioni al fatto di
accompagnarsi con il Maniscalco, riferendo in sede di interrogatorio di
garanzia che questi gli aveva chiesto un passaggio in macchina e che egli lo
aveva accompagnato in Piazza San Domenico; che il cognato gli aveva detto
che doveva parlare con una persona e che lui doveva aspettarlo là; il
cognato era uscito e gli aveva detto che doveva andare a parlare con
un’altra persona e poi lui Io aveva, ancora una volta aspettato, sempre fuori
a guardare negozi e tutto. Il cognato aveva finito di parlare con alcune
persone e prima era entrato in una gioielleria. Non sapeva cosa dovesse fare
il suo cognato che gli aveva detto aspettami qua. I fatti emersi in sede
dibattimentale, come peraltro utilizzati e riportati dal giudice della
riparazione non si discostano da quanto riferito dal Gritto all’atto
dell’interrogatorio di garanzia, salvo la circostanza che questi, in sede
dibattimentale ha negato la circostanza, originariamente ammessa, che il
Maniscalco era entrato anche in una gioielleria, ma tale riscontrata reticenza
si è verificata molto tempo dopo la adozione delle misura, nel corso del

o connivente, al fatto che il Maniscalco stesse per delinquere. Se è vero

dibattimento, dopo che il Manscalco aveva già ammesso le proprie esclusive
responsabilità e veniva separatamente giudicato, così da non potersi
minimamente porre quale ragione giustificativa del mantenimento del
vincolo cautelare il quale appunto, anche a seguito delle precisazioni rese
dall’imputato in dibattimento, sarebbe stato dichiarato inefficace a seguito di
sentenza assolutoria;
4. Quanto infine alla condotta tenuta dal Gritto al momento della consumazione

i due erano stati ripresi dalle telecamere mentre si aggiravano davanti ai
negozi della zona e che il Gritto era stato riconosciuto come la persona cui si
era ricongiunto il Maniscalco fuori dal negozio di ferramenta, concludeva
come sia del tutto improbabile che il Gritto non abbia nutrito alcun sospetto
circa Io strano comportamento tenuto dal cognato con il quale si
accompagnava al momento dei fatti per cui entrambi sono stati arrestati,
atteso che il Manscalco nulla aveva acquistato durante i suoi ingressi nei
predetti negozi né gli aveva palesato la sua intenzione di effettuare delle
compere. D’altro canto se lo scopo del Gritto fosse stato quello di andare a
prendere la di lui convivente dopo il turno di lavoro, non si riesce a
comprendere come i due si fossero invece dedicati ad andare per negozi,
tralasciando tale primario scopo.

La motivazione risulta assolutamente

inidonea a fondare profili di colpa in capo al Gritto il quale, come sopra
evidenziato, nell’immediatezza dell’applicazione della custodia ebbe a
chiarire che il Maniscalco gli aveva chiesto un passaggio in macchina e che
una volta arrivati in zona San Domenico gli aveva detto di dovere parlare
con alcune persone e lui, come richiesto dal Maniscalco lo aveva aspettato
fuori “a guardare negozi e tutto” e che prima il Maniscalco era entrato anche
in una gioielleria chiedendogli di aspettarlo qua. Orbene una tale dinamica
dei fatti di per sé del tutto neutra per la posizione del Gritto se epurata dalle
ragioni di colleganza delinquenziale addotte dal giudice della riparazione sul
presupposto, non dimostrato ma soltanto ritenuto, della conoscenza e della
familiarietà tra i due personaggi, non può certamente ritenersi ambiguo e
colposo per il fatto che risultasse trascurato l’impegno assunto dal Gritto con
la sua compagna che terminava il turno lavorativo, il cui assolvimento era
certamente compatibile con quanto aveva promesso al Maniscalco, dal
momento che il Gritto aveva originariamente dichiarato di essersi limitato ad
accogliere la richiesta del Maniscalco di dargli un passaggio in macchina, né
la consapevolezza della illiceità delle finalità del Maniscalco può desumersi
dall’ingresso in esercizi commerciali non seguiti da acquisti, atteso che il

delle estorsioni tentate il giudice della riparazione, dopo avere premesso che

Gritto ha riferito fin dall’inizio che il Maniscalco gli aveva riferito di dovere
parlare con delle persone.
5. Conclude infine il giudice della riparazione che non appare verosimile che il
Maniscalco, all’insaputa del Gritto, abbia deciso improvvisamente di
concepire una estorsione ai danni di una gioielleria (ma almeno anche nei
confronti di un negozio di ferramenta) posto che piani criminosi del genere
richiedono notoriamente un’accurata preparazione, con studio degli obiettivi

un ulteriore profilo di ambiguità nel comportamento del Gritto che avrebbe
indotto l’autorità a ritenere che questi si fosse prestato a partecipare al
programma delinquenziale. L’ulteriore circostanza addotta dal giudice
territoriale appare logicamente espressa, ma di nessun rilievo eziologico ai
fini della valutazione del contegno del Gritto in termini di colpa in quanto,
una volta esclusa la compartecipazione criminosa del ricorrente e una volta
focalizzata l’attenzione del giudice della riparazione su un comportamento
asseritamente avventato e gravemente imprudente del Gritto, che si era
prestato ad accompagnare l’amico che egli sapeva pregiudicato e dedito al
crimine, attendendolo per strada dinanzi a due esercizi commerciali essendo
o dovendo essere consapevole che l’amico avrebbe potuto realizzare
qualcosa di poco onesto, così da rimanerne coinvolto, non si vede come a
suo detrimento possa essere valorizzata la fase progettuale del disegno
criminoso, in quanto ad esso estranea, mentre risulterebbe altrettanto logico
ritenere che se il Gritto avesse avuto contezza delle reali intenzioni maturate
del sodale, esso stesso avrebbe aderito al programma delinquenziale con la
convinzione che il caso richiedeva e pertanto aumentando la forza
intimidatrice della sua presenza e non tenendosi in disparte, ovvero al
contrario si sarebbe rifiutato di farsi vedere in compagnia del Maniscalco in
giro per i negozi della zona qualora tale programma non avesse condiviso.
6. Si impone pertanto l’annullamento della ordinanza impugnata richiamando la
Corte di Appello di Palermo a un nuovo esame in punto alla ricorrenza del
fatto impeditivo della colpa grave con particolare riferimento alla – non
adeguatamente illustrata – dimostrazione della consapevolezza in capo al
Gritto dell’attività illecita del Maniscalco.
P.Q.M
La Corte annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla
Corte di appello di Palermo cui rimette anche la determinazione delle spese
tra le parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14.12.2015.

e dei rischi connessi alla loro esecuzione. Da tale circostanza viene ricavato

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