Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 927 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 927 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

ROBBEZ MASSON FRANK, nato a Casablanca (Marocco) il 14/271959
NURIT CATHERINE, nata a Marveljos (Francia) il 4/12/1961
DEIANA SANDRA, nata a Agordo il 7/2/1966

avverso la ordinanza, in data 4/7/2015, del Tribunale Distrettuale del Riesame di
Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere °ronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Paola Filippi,
che ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente al periculum
con rinvio al Tribunale di Tempio Pausania Sezione per il Riesame e per il rigetto dei
ricorsi nel resto;
udito il difensore dei ricorrenti avv. Guido Manca Bitti e avv. Azzena Luigi che hanno
concluso per l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Tempio Pausania, con ordinanza del 9/6/2015, in accoglimento dell’appello del
P.M. avverso l’ordinanza del G.I.P. del medesimo Tribunale, in data 19/5/2015, che aveva
rigettato la richiesta di sequestro preventivo dell’immobile sito in Comune di Golfo Aranci, Loc.
Terrata, catastalmente meglio descritto in atti, ha disposto la misura cautelare e restituito gli
atti al P.M. per l’esecuzione.
ROBBEZ MASSON FRANK, NURIT CATHERINE e DEIANA SANDRA sono indagati per i reati di

nella loro qualità di proprietari e committenti, i coniugi ROBBEZ MASSON e NURIT in concorso
con la DEIANA, progettista e direttore dei lavori, effettuavano la demolizione e ricostruzione
dell’immobile nella quasi sua interezza, in violazione dell’art. 5, cc. 3 e 5, L. R. n. 4/2009 (c.d.
legge sul piano casa).
Ricorrono tutti gli indagati per la cassazione dell’ordinanza, con due motivi di doglianza.
Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 606,c.1, lett. b), c.p.p., in relazione agli artt.
125, c.3 e 321 c.p.p., la mera apparenza della motivazione dell’ordinanza di accoglimento della
richiesta di sequestro preventivo dell’immobile, in quanto il Tribunale, non ha indicato i
presupposti della disposta misura cautelare, ma si è limitato ad affermare che i lavori di
ristrutturazione con ampliamento del fabbricato sono stati eseguiti tramite la demolizione quasi
totale del vecchio edificio in muratura e che la sua ricostruzione è stata eseguita anche con
diversità di sagoma, in violazione dell’art. 5, L. R. n. 4/2009, mediante il mero richiamo
all’allegato fotografico, e senza neppure ancorare i/ periculum in mora ad elementi concreti,
stante il generico richiamo alla perdurante offesa all’ambiente e al territorio in connessione alla
utilizzazione della ultimata costruzione, così disattendendo la ricostruzione dei fatti proposta
dalla difesa in merito al tipo di intervento edilizio operato dagli indagati.
Con il secondo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b), c.p.p., in relazione agli
artt. 2 e 5 L. R. della Sardegna n. 4/2009, che il Tribunale ha erroneamente ritenuto essere
stata realizzata una radicale trasformazione della struttura del preesistente edificio, mediante
abbattimento e ricostruzione di gran parte del corpo di fabbrica e sostituzione dei materiali,
senza considerare che l’art. 2 della citata Legge Regionale, allorchè disciplina gli “interventi di
adeguamento ed ampliamento del patrimonio edilizio esistente”, contempla la possibilità che
gli interventi riguardino l’immobile nella sua interezza e non necessariamente parti limitate di
esso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati nei limiti dì
seguito precisati.
Quanto al primo profilo di doglianza, va ricordato che secondo l’indirizzo interpretativo ormai
consolidato di questa Corte, il fumus del reato oggetto di indagine deve essere accertato, in
2

cui agli artt. 110 c.p., 44 lett. c), D.P.R. n. 380/2001 e 181, c.1 bis, D.Lgs. n. 42/2009, perché

materia di misure cautelari reali, sulla base delle prospettazioni della pubblica accusa, ma
tenendo conto anche di tutti gli elementi acquisiti al processo e di tutte le prospettazioni
difensive mentre non è richiesto l’accertamento dei gravi indizi di colpevolezza e tanto meno
può essere effettuato dal giudice della cautela un esaustivo accertamento di merito in ordine
alla fondatezza dell’accusa (Sez. U. n. 4 del 25/3/1993, Gifuni, Rv. 193117; (ex pi. Sez. 3^ n.
27715/2010 cit; Sez. 3^ n. 26197, 9 luglio 2010; Sez. 3, n. 18532 del 20/5/2010, Rv 248134,
con ampi richiami ai precedenti).
Orbene, tenuto conto dell’enunciato principio di diritto, l’ordinanza impugnata si palesa

dalla pubblica accusa, dalle quali è emersa la totale difformità del manufatto in muratura
preesistente, rispetto all’eretto fabbricato in cemento armato e profilati in ferro.
Peraltro, il Tribunale di Tempio Pausania ha esaminato anche la documentazione prodotta
dagli appellanti, ritenendola insufficiente per contrastare gli elementi addotti dalla pubblica
accusa, avuto riguardo alle risultanze delle attività d’indagine, comprensive della consulenza
tecnica svolta dall’Ing. Pietro Salvatore Abiuso, nè, per quanto già rilevato, era dovuto dal
Giudice dell’appello cautelare un più esaustivo accertamento sul punto.
L’ordinanza, pertanto, non è affatto incorsa nel denunciato vizio di carenza assoluta di
motivazione.
Per quanto concerne le questioni giuridiche sottese al motivo di ricorso, se ne deve rilevare
l’infondatezza.
Si sostiene, in estrema sintesi, che i ricorrenti hanno ottenuto, in data 22/1/2013, dal Comune
di Golfo Aranci, la concessione edilizia n. 13/2013 (piano casa) per l’ampliamento e la
modifica strutturale dell’immobile preesistente, già condonato da Angius Luigi, nel lontano
1987, come documentato dalla pratica di condono (n. 608/87) conclusasi con il rilascio, in data
21/9/2001, della concessione edilizia in sanatoria n. 25/11, e che tale condizione dell’edifico
preesistente non ne impediva la ristrutturazione totale o parziale, secondo le prescrizioni della
richiamata L. R. n. 4/2009.
Il Tribunale, al contrario, ha affermato: che gli interventi di ristrutturazione edilizia non
possono essere eseguiti su immobili originariamente abusivi; che, nel caso di specie, la
pubblica accusa ipotizza che il provvedimento di condono sia privo di effetti, per un un vizio
originario, costituito dalle false dichiarazioni dell’Angius in ordine alla data di ultimazione delle
opere, con conseguente illegittimità derivata della concessione edilizia in sanatoria, essendo
stato realizzato il fabbricato, ricadente nella zona di rispetto, successivamente all’entrata in
vigore della L. n. 10/1976, che ha imposto il vincolo, risultanze corroborate dai rilievi
ortofotografici degli anni 1977 e 2008, allegati alla consulenza tecnica; che la demolizione e
ricostruzione dell’immobile originario nella quasi

sua interezza è avvenuta in violazione

dell’art. 5, commi 1 e 5 dalla L. R. n. 4/2009, in quanto nel caso di immobili insistenti nella
fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, in caso di integrale demolizione degli stessi, è
previsto, a determinate condizioni, il solo trasferimento della volumetria preesistente in altra
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adeguatamente motivata mediante il puntuale riferimento alle risultanze delle indagini disposte

area situata oltre la fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, con incremento volumetrico
premiale (10%); che nella specie non ricorre un’ipotesi di intervento di adeguamento e
ampliamento secondo la previsione di cui all’art. 2 della più volte citata Legge Regionale, in
quanto la disposizione non contempla affatto la demolizione e ricostruzione dì immobili, ma
un incremento volumetrico (20%) ottenibile mediante la realizzazione di nuovi corpi di
fabbrica in ampliamento del patrimonio edilizio esistente.
Tanto basta ai fini qui considerati atteso che le questioni trattate, in ogni caso, dovranno
formare oggetto di adeguato accertamento nella sede di merito considerato che, secondo le

preventivo non deve essere motivata sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza, in quanto è
sufficiente, per l’adozione della misura cautelare reale, la presenza di un

fumus boni iuris che

non può avere riguardo alla sola astratta ipotizzabilità di un reato, ma deve riguardare tutte le
risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma
anche le confutazioni e gli elementi offerti dall’indagato (Sez. 3, n. 27715 del 20/5/2010, Rv.
248134).
Fondato è invece il secondo profilo di doglianza, in quanto il Tribunale di Tempio Pausania ha
ancorato la necessità di imporre il sequestro preventivo sul bene degli indagati facendo un
generico richiamo “alla perdurante offesa all’ambiente e al territorio in stretta connessione
all’utilizzazione della costruzione ultimata”, senza tuttavia indicare gli elementi atti a
dimostrare in concreto la sussistenza di tale periculum in mora .
Com’è noto, è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di
sequestro preventivo, pur se consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del
provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei
requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e

l’iter logico seguito dal

giudice nel provvedimento impugnato, (Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Rv. 254893).
Il vincolo cautelare reale è stato imposto sia in relazione al reato edilizio di cui all’art. 44 lett.
c), che in relazione alla violazione paesaggistica sanzionata D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 181,
comma 1 bis e pertanto, in relazione al profilo del periculum in mora andava valutato, quanto
al primo illecito, se si prospettasse l’esigenza di impedire le conseguenze del reato, consistenti
in un aggravamento del cd. carico urbanistico, derivante dalla utilizzazione degli immobili
anche dopo il loro completamento, quanto al secondo, l’eventuale aggravamento della lesione
del bene paesaggistico determinata anch’essa dal concreto utilizzo dell’immobile dopo la
consumazione del reato.
Nel provvedimento impugnato non si offre sul punto una motivazione logica e congrua, e
sebbene sia corretto affermare che il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato, ai sensi
dell’art. 321 c.p.p., può essere adottato anche su un’opera ultimata, resta tuttavia non
condivisibile opinare, come ha fatto il Giudice dell’appello cautelare, che trattandosi di opere
realizzate in zone sottoposte a vincolo, il pericolo che attiene alla libera disponibilità del bene

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indicazioni dettate dalla giurisprudenza di questa Corte, l’ordinanza che dispone il sequestro

non debba essere valutato in termini di concretezza ed attualità e quindi fatto oggetto di
specifica motivazione.
Il provvedimento impugnato va pertanto annullato in parte qua, con conseguente restituzione
degli atti al Tribunale al fine di sanare il deficit motivazionale.

PQM

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al periculum con rinvio ai Tribunale di Tempio

Così deciso in Roma il 25 novembre 2015.

Pausania Sezione per il Riesame. Rigetta i ricorsi nel resto.

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