Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 899 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 899 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

BORDONARO Paola, nata a Torino il 5 ottobre 1956

ORINO

avverso la sentenza n. 4393/2014 della Corte di Appello di Trie-A-e, in data 16 ottobre
2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore del ricorrente, avv. Nicola Bruno, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso e l’annullamento con rinvio della impugnata sentenza;

Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 4393/2014, ha confermato la sentenza emessa
dal medesimo Tribunale il 10/4/2010, nei confronti di BORDONARO Paola – imputata del reato
di cui agli artt. 56, 515 c.p., perchè quale legale rappresentante del Bar Caffè Gelateria
“Fiorio-Palorna” s.a.s., detenendo per la successiva somministrazione, presso i locali della
suddetta attività, vari prodotti di pasticceria congelati, di cui non era indicata né sulle liste
menù rinvenute sui tavoli della saletta di somministrazione, né sulla vetrina espositrice, il reale

agli avventori alimenti diversi per qualità da quanto dichiarato (Torino, 20/6/2008) – con cui
l’imputata era stata condannata, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di
Euro 500 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, pubblicazione della sentenza e
confisca di quanto in sequestro.
La BORDONARO, tramite il difensore fiduciario, propone ricorso affidato a due motivi per
l’annullamento della decisione.
Con il primo motivo di doglianza, si deduce, ai sensi dell’art. 606,c.1, lett. b), c.p.p., erronea
applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 515 c,p.p., riguardo alla contestata
attività di detenzione di alimenti congelati, senza che fosse indicato agli avventori tale stato
fisico, con conseguente consegna agli stessi di alimenti diversi per qualità da quanto
dichiarato, in quanto ad avviso della difesa è emerso, nel corso dell’istruttoria, che tali alimenti
erano stati realizzati con un processo produttivo che prevedeva, nel laboratorio della
pasticceria, un trattamento termico, cd. “abbattimento”, consistente in un rapidissimo
raffreddamento a – 41° degli impasti ancora in lievitazione e che, nel locale di vendita,
avveniva la lievitazione, cottura e finizione dei prodotti dolciari da porre in vendita.
Si assume, che il dato letterale dell’art. 515 c.p. non prevede che le modalità con cui un bene
viene prodotto siano rese note al consumatore, ove esse non siano tali da caratterizzare il
prodotto stesso, avendo il C.T. della difesa dimostrato che il processo produttivo in oggetto
non incide sulla qualità dei prodotti, che sono assolutamente identici a quelli realizzati senza
applicazione del trattamento termico.
Con il secondo motivo di doglianza, si deduce, ai sensi dell’art. 606,c.1, lett. e), c.p.p., vizio
motivazionale della impugnata sentenza, per non avere la Corte di Appello di Torino
adeguatamente considerato che nel capo di imputazione si utilizza il termine “congelato”,
mentre nella motivazione della impugnata sentenza viene utilizzato il termine “surgelato”,
trascurando così la distinzione terminologica tra “congelato”, “surgelato” ed “abbattimento” e
pure la particolarità del processo produttivo concretamente impiegato.
Tale vizio, secondo la difesa, è confermato dalla affermazione del giudice di appello che si
trattava “di prodotti che, nel corso della loro lavorazione, erano stati surgelati e che invece
venivano proposti come freschi” e che la responsabilità penale dell’imputata risiede nel fatto
che “aveva esposto in vendita i prodotti da forno decongelati senza indicare tale fondamentale
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stato fisico di conservazione, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare

caratteristica”, situazione questa che, sempre ad avviso della difesa della BORDONARO, non
ha alcun riscontro nella realtà, non essendovi stata alcuna attività di congelamento o
surgelamento, ma il differente trattamento termico costituito dall’abbattimento.
Con memoria ex art. 585 c.p.p. del 26/10/2015, la ricorrente ha chiesto che venga
riconosciuta la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., introdotta con il D.Lgs. n.
28/2015, questione che non ha potuto ratione temporis dedurre nel giudizio di appello, attesa
la particolare tenuità del fatto, trattandosi di una isolata violazione dell’etichettatura di alcuni

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito riportate.
1. – Con il primo motivo la ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione di legge
sostanziale, avuto riguardo alla concreta configurabilità del delitto di frode nell’esercizio del
commercio, per il fatto che la Corte territoriale ha ritenuto di dover disattendere i rilievi
difensivi esposti nell’atto di gravame e ritenuto ininfluente la prospettata distinzione tra
prodotti congelati e surgelati, rispetto al procedimento di abbattimento termico.
Giova premettere che, per quanto si legge nell’impugnata sentenza, nella fattispecie in esame
è stato ritenuto elemento dirimente l’omessa menzione dello stato di conservazione dei cibi
detenuti per la vendita nell’esercizio commerciale, in continuità con la giurisprudenza di
legittimità che parifica, ai fini qui considerati, la situazione dei prodotti congelati e di quelli
surgelati, in quanto non rileva la temperatura raggiunta in fase di raffreddamento, quanto
piuttosto la violazione dell’obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori.
Secondo la Corte territoriale, l’abbattimento della temperatura è solamente un metodo per
raffreddare velocemente i cibi, che nel caso di specie non assume rilevo, perché quel che conta
è che “i prodotti dolciari semilavorati, dopo essere lievitati ad una temperatura di + 40°,
fossero sottoposti non già a un semplice raffreddamento rapido ma ad un vero

)?…

proprio

processo di surgelamento, visto che, come riferito dal teste a difesa Guratti Bruno, pasticcere
del caffè Fiorio, essi erano collocati in un ambiente a – 41° e poi riposti in scatole termiche e
stoccati in “celle congelanti” ad una temperatura di – 24°”, ed ancora che, come riferito dal
teste a difesa Lupo Francesco, addetto alla cottura dei prodotti dolciari, quando essi venivano
estratti dal sacchetto, si presentavano “freddi e duri, cioè sotto zero”.
Il giudice di appello ha tenuto a sottolineare che dì tutto ciò gli avventori dell’esercizio
commerciale non avevano la minima informazione, in quanto “nel menù versato in atti
(prodotto dal P.M.) non vi era alcun riferimento al fatto che la pasticceria derivasse da una
procedura che prevedeva il surgelamento”, mentre per i prodotti da forno.tposti nella
vetrinetta, collocata nella sala-bar, nessuna lista contenente informazioni sulla natura
surgelata degli alimenti era presente a fianco o in prossimità della stessa.

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dei prodotti venduti nell’esercizio commerciale torinese.

La decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la detenzione di
alimenti congelati o surgelati all’interno di un locale di somministrazione, senza che nella lista
delle vivande sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentativo di frode in commercio,
trattandosi di condotta univocamente idonea a consegnare ai clienti un prodotto diverso, per
qualità, da quello dichiarato.
Può infatti concretizzare la fattispecie di reato in esame anche il semplice fatto di non indicare
nella lista delle vivande, posta sui tavoli di un ristorante, che determinati prodotti sono
congelati, in quanto l’esercizio di ristorazione ha l’obbligo di dichiarare la qualità della merce

o congelato) integra il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio, perché la stessa
proposta di vendita non veritiera, insita nella lista vivande, costituisce un atto diretto in modo
non equivoco a commettere il delitto di cui all’art. 515 c. p. (Sez. 3, n. 44643 del 2/10/2013,
Rv. 257624, Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, dep. 4/2/2014, Rv. 259149, Sez.3, n. 9310 del
14/2/2013,non massimata; Sez. 3, n. 24190 del 27/6/2005, Rv. 231946).
2. – La ricorrente deduce, con il secondo motivo di doglianza, sotto il profilo del vizio
motivazionale della impugnata sentenza, che la Corte di Appello di Torino ha finito per
trascurare la distinzione tra prodotto “congelato”, “surgelato” e sottoposto ad “abbattimento”.
Orbene,. che i prodotti dolciari detenuti per la successiva somministrazione nel Bar Caffè
Gelateria “Fiorio-Paloma” fossero da qualificare “congelati”, secondo quanto riportato nel capo
di imputazione, discende dalla circostanza che tali alimenti venivano conservati in “celle
congelanti” ad una temperatura di – 24°”, prima di essere estratti per il completamento del
processo di lievitazione, per poi essere sottoposti a quello di cottura in forno e dì finizione
sicché, negli esatti termini evidenziati dal giudice di primo grado, a poco rileva la distinzione
tra surgelazione in fase di lavorazione e surgelazione del prodotto finito, considerato che non è
oggetto di contestazione il procedimento produttivo, e neppure quello di conservazione degli
alimenti, ma la mancata informazione ai consumatori, da parte dell’imputata, per il ruolo dalla
medesima svolto all’interno dell’azienda, “in ordine al trattamento e conservazione dei beni
posti in vendita”.
Si tratta di argomentazioni del tutto logiche e coerenti, quelle del giudice di appello, che
evidenziano appieno come le condizioni di confezionamento e conservazione degli alimenti, per
quanto corrette sotto il profilo igenico-sanitario, fossero tali da configurare il delitto contestato,
sia pure nella forma del tentativo in quanto, difettando una adeguata informazione dei
consumatori circa le qualità degli stessi, i prodotti dolciari venivano di fatto presentati come
freschi, e dunque prodotti diversi da quelli che gli ignari clienti ragionevolmente si attendevano
entrando in “un locale di pasticceria, noto nella città non foss’altro per la sua storicità
(debitamente documentata e messa in risalto nelle stesse liste menù)” (pag. 6 sentenza di
primo grado, pag. 7 sentenza d’appello).
Del resto, la stessa difesa della BORDONARO aveva richiamato le linee guida per la
trasformazione e la vendita dei prodotti alimentari elaborate dall’Assessorato alla Sanità della
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offerta ai consumatori, di tal che la mancata specificazione della qualità del prodotto (naturale

Regione Piemonte, quanto al trattamento con il freddo a basse temperature dei prodotti
alimentari, ed anche esse rimarcano “il principio della corretta informazione del consumatore,
che dovrà essere messo a conoscenza del trattamento subito dall’alimento”.
Decisiva, pertanto, ai fini dell’esatta soluzione della questione di diritto qui esaminata, è la
considerazione del bene giuridico protetto dalla norma (art.515 c.p.), costituito dall’esigenza di
tutela della correttezza dei rapporti commerciali e dell’interesse del consumatore a non
ricevere cosa diversa da quella richiesta (Sez. 3, n. 37569 del 25/9/2002, Rv. 222556).
3. – Quanto al motivo aggiunto, questa Corte ha di recente chiarito che l’ esclusione della

applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n.
28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali si può rilevare di ufficio ex art.
609, c. 2, c. p. p. la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, sulla base
di quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata.
Non v’è dubbio che il legislatore, attraverso l’art. 131 bis c.p., ha privato alcune fattispecie di
reato, individuate sulla base di un criterio quantitativo, del loro disvalore, non già in astratto
considerate, ma soltanto all’esito di una valutazione giudiziale “personalistica”, dovendosi
avere riguardo alla particolare tenuità del fatto, articolata in due “indici-requisiti” che sono la
modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, e la non abitualità del
comportamento (Sez. 3, n. 15449 del 15/4/2015, Rv, 263308, cfr. anche la sentenza n.
25/2015 della Corte Costituzionale).
Il nuovo istituto non individua quindi un ulteriore elemento costitutivo del fatto, bensì un limite
negativo alla sua punibilità, che non può prescindere poi da un accertamento nel merito (Sez.
2, n. 32989 del 10/4/2015, Rv. 264223); ciò tuttavia non esclude che, nel giudizio di
legittimità, si debba preventivamente verificare la sussistenza, in astratto, delle condizioni di
applicabilità del nuovo istituto.
Orbene, nella fattispecie che ci occupa, la ricorrente ha invocato la non punibilità per
particolare tenuità del fatto, sottolineando che si è trattato di una violazione isolata e priva di
conseguenze pregiudizievoli per la salute dei consumatori.
In generale, appare difficile configurare “la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del
comportamento” con riferimento a condotte che si inseriscono in attività professionalmente
esercitate – e quindi rivolta al mercato – non potendosi prescindere da una valutazione globale
degli interessi, di natura ultraindividuale, sottesi alla tutela penale prevista dall’art. 515 c.p.
(Sez. 6, n. 11791 del 28/6/1978, Rv. 89444).
Né appare superfluo rammentare che, in merito all’applicabilità dell’attenuante di cui all’art.
62 n.4 c.p., nell’ipotesi di fronde in commercio c.d. qualitativa, questa Corte ha avuto modo di
affermare che il reato di cui all’art. 515 c.p. è un reato plurioffensivo che tutela, in primo
luogo, il leale esercizio dell’attività commerciale, sicché non può neppure prospettarsi un danno
di speciale tenuità per quel che attiene al principale bene giuridico tutelato (Sez. 3, n. 37602
del 9/7/2009, Rv. 244994).
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punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c. p., ha natura sostanziale ed è

Più da presso, e con specifico riferimento al caso in esame, la sussistenza, in astratto, delle
condizioni di applicabilità dell’ istituto di cui la ricorrente ha chiesto l’applicazione, è da
escludere in del dato quantitativo dei prodotti (Kg. 3 di pizzette, Kg. 10,5 di croissant alla
marmellata e cacao, Kg. 3 di strudel, Kg. 7 croissant alla marmellata, Kg. 6 di fagottini, Kg. 4
di girelle farcite uvetta e mela, Kg. 3 di veneziane, Kg. 5 di croissant vuoti, Kg. 3 di croissant
salati).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.

P.Q.M .

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