Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48087 del 29/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48087 Anno 2015
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SANTORO PIERINO N. IL 17/11/1959
avverso la sentenza n. 1815/2014 GIP TRIBUNALE di ASTI, del
20/11/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANNA
PETRUZZELLIS;

Data Udienza: 29/10/2015

Così deciso in Roma, all’udienza del 29 ottobre 2015

DEP SATAT A

Santoro Pierino propone ricorso avverso la sentenza del 20/11/2014 con la quale il Tribunale di Asti
ha applicato la pena concordata tra le parti in relazione all’imputazione di cui agli artt. 81, 314
cod.pen.
Nel ricorso si lamenta violazione di legge, quanto all’applicazione della pena dell’interdizione
perpetua dal pubblici uffici, di cui all’art. 317 bis cod. pen. in luogo di quella temporanea che
doveva applicarsi in relazione alla pena base, determinante a tal fine, e valutata al netto di tutte le
riduzioni; violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione, quanto alla disposta
confisca di beni intestati ai suoi parenti; violazione di legge e vizio di motivazione quanto
all’individuazione del reato più grave, posto a base del calcolo della pena.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza quanto al primo profilo, riguardando la pena
complessivamente reati di peculato, in relazioni ai quali, data la natura unitaria della violazione,
deve altrettanto unitariamente computarsi la pena inflitta ai fini dell’applicazione della sanzione
accessorie previste per tutte le violazioni unificate ex art. 81 cod. pen.
Quanto al secondo profilo vi è difetto di legittimazione a ricorrere, posto che sulla base della sua
prospettazione non è titolare dei beni, i quali ultimi potranno far valere i loro diritti in sede di
esecuzione,.
Nel giudizio speciale cui l’interessato ha acceduto su sua richiesta al giudice è rimesso solo il
controllo della congruità e legalità della pena, elementi neppure posti in discussione nel ricorso, e si
provvede all’applicazione della sanzione, sulla base di modalità di calcolo individuate dalle parti, su
cui nessuna analisi ulteriore, se non nei termini riferiti, è rimessa al giudicante.
L’inammissibilità di tale censura è conseguente quindi alla proposizione di motivi non consentiti,
oltre a non essere sostenuta da interesse, risultando l’individuazione di un diverso reato quale più
grave priva di ricadute sulla quantificazione della sanzione.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500 (millecinquecento) in favore delle Cassa delle
mende.

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