Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25713 del 24/04/2015

Penale Ord. Sez. 7 Num. 25713 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MULLIRI GUICLA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
A.A.
P.C. nel proc. c/o
B.B.
imputato art. 544 ter c.p.
avverso sentenza della Corte d’Appello di Milano del 17.9.14

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
osserva

La Corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di
assoluzione sotto il profilo psichico pronunciata in primo grado nei confronti di B.B.
accusato di avere infierito, per crudeltà e senza necessità, con calci violenti alle zampe ed alla
schiena, sul cane, pastore tedesco, di proprietà della odierna ricorrente A.A..
Quest’ultima, costituitasi parte civile, si duole della pronuncia adducendo una pluralità
di motivi che, riassunti in estrema sintesi, afferiscono a: 1) mancata assunzione della
deposizione di P.P.; 2) illogicità della motivazione a proposito del diniego di
rinnovazione del dibattimento; 3) vizio della motivazione circa la ritenuta credibilità delle
dichiarazioni dell’imputato; 4) vizio della motivazione a proposito del contrasto tra quanto
riferito dall’imputato inizialmente ed in dibattimento; 5) contraddittorietà della motivazione a
proposito della ritenuta “poca credibilità” che il fatto si sia svolto sul marciapiede; 6) vizio
motivazionale sulla ritenuta inidoneità della testimonianza dell’agente Monacelli a svalutare
l’attendibilità dell’imputato.

Data Udienza: 24/04/2015

Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile per l’evidente ragione che
la ricorrente ha confuso la presente sede con un terzo grado di merito.
Rimane, infatti, fermo il divieto per la Cassazione – in presenza di una motivazione non
manifestamente illogica o contraddittoria – di una diversa valutazione delle prove, anche se plausibile.
Di conseguenza, non è sufficiente, per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del
procedimento siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa e più persuasiva di
quella operata nel provvedimento impugnato; occorre che le prove, che il ricorrente segnala a
sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare
l’intero ragionamento svolto dal giudice sì da rendere illogica o contraddittoria la motivazione.
Nella specie, invece, lo sforzo svolto dalla ricorrente è meramente reiterativo di quello
(analogo) svolto in appello, di ottenere una interpretazione dei fatti diversa da quella raggiunta
congiuntamente dai i giudici di merito dei due gradi.
In particolare, quanto ai primi due motivi del ricorso, deve obiettarsi che, come noto, la
rinnovazione del giudizio è istituto del tutto eccezionale cui il giudice può fare ricorso, a sua
discrezione quando ritenga di non poter decidere diversamente.
Come ogni decisione affidata al potere discrezionale del giudicante il suo esercizio
diviene inoppugnabile in sede di legittimità nella misura in cui la decisione sia stata giustificata
con motivazione non manifestamente illogica.
Ciò è quanto avvenuto nella specie. Infatti, i giudici hanno fatto notare, non solo che la
teste di cui veniva chiesta l’audizione – figlia della ricorrente – non era stata mai indicata in
precedenza ma, soprattutto, che la sua deposizione non sarebbe stata incisiva su altro aspetto
che quello relativo al carattere del cane ma, trattandosi di profilo sul quale la stessa p.o. aveva
già riferito ampiamente, la Corte ha considerato superflua tale audizione.
Del resto, scorrendo l’intera motivazione, si apprende che la decisione non è stata
assunta certo sulla base di un pregiudizio verso l’animale (assimilabile ad una sorta di “colpa d’autore”),
bensì, focalizzando l’attenzione sulla ricerca di elementi di riscontro obiettivi allo svolgimento
dei fatti tenendo ovviamente presente anche le abituali modalità comportamentali del
padrone dell’animale (tenuta al guinzaglio, uso della museruola, ecc.). All’esito, di certo, il quadro
offerto in sentenza non presta il fianco a critiche logiche. Anche prescindendo da
apprezzamenti opinabili circa la identità o meno di peso degli interessi di cui può esser e
portatore un soggetto imputato di maltrattamento di animali e quello del padrone di questi
costituitosi parte civile (per di più, in un contesto -come quello in esame – di palesi e noti contrasti per ragioni
condominiali e di vicinato) ciò che conta nella specie, è che i giudici hanno cercato di sfrondare la
vicenda (sicuramente enfatizzata dal retrostante clima di conflittualità) richiamando l’attenzione sui dati
obiettivi che provenivano dalle parole di chi aveva riferito sui fatti essendone terzo non
interessato.
La sintesi del ragionamento, quindi, va individuata nel richiamo alle deposizioni id
M.M. nonché nell’inequivocabile tenore del referto medico e nelle (altrettanto
accertate) «disinvolte modalità di gestione del cane» sì che deve ritenersi che sarebbe stato
effettivamente irrilevante sentir riferire dalla teste P.P che (si deve presumere in difetto di
maggiori specificazioni sul punto anche dalla spessa parte civile) vi sono state altre occasioni nelle quali il
cane si era comportato in modo irreprensibile e docile. Tale eventualità non avrebbe eliminato
infatti la obiettività delle stesse ammissioni della p.o. secondo cui il cane, (come è normale per la
sua stessa razza) tendeva – ed aveva mostrato di farlo – ad una certa “territorialità” abbaiando
quando incontrava estranei. La qual cosa avrebbe dovuto indurre sicuramente i suoi padroni ad
una gestione più oculata e prudente di quella qui emersa, in generale e nello specifico.
Sono quindi, del tutto inammissibili perché “in atto” le ulteriori ragioni di ricorso (dalla terza
alla sesta) perché non fanno che riproporre la possibilità di una diversa interpretazione da dare
alle testimonianze Del resto, è per tabulas che le ragioni qui svolte sono state già portate
all’attenzione della corte territoriale che le ha riportate in dettaglio e quindi esaminate
partitamente con argomenti che non sono privi di una loro logica. In altri termini, come
asserito sin ad epoca risalente (sez. I, 12.5.99, Commisso, Rv. 215132), perché la motivazione possa
essere definita illogica, si deve essere in presenza di una “frattura logica evidente tra una
premessa – o píù premesse nel caso di sillogismo – e le conseguenze che se ne traggono”. Di
certo, però, non ricorre alcun vizio “logico” quando, invece, si è solo in presenza di una
interpretazione dei dati fattuali meramente “alternativa” ad altre possibili.

Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €.

P.Q.M.
Visti gli artt. 610 e ss. c.p.p.

Così deciso in Roma nell’udienza del 24 aprile 2015

Il Consigli

stensore

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €.

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